Alabama
7 Maggio 2021 2 commenti
Alessandro Barbero, Sellerio 2021, pag.262, € 15
Per scrivere questo divertissement, il mio storico italiano preferito deve essersi imbattuto su youtube in quello straordinario documento filmato che è l’intervista all’ultimo veterano confederato Julius Franklin Howell (1846-1948) che combattè la guerra civile nel 24th Cavalleria della Virginia dall’età di 17 anni. Non è lui quello che ci guarda dalla copertina ma gli somiglia molto e a lui Barbero deve essersi ispirato. Perchè oso definire questo libretto un divertissement? Perchè, per una volta, Barbero abbandona l’accuratezza storica per far raccontare al suo vecchio protagonista, intervistato da una giovane giornalista, le sue peripezie da soldato senza badare troppo alla cronologia e ai riferimenti di luogo o di persone, e adottando lo stile narrativo ad imitazione della presunta colloquialità del soggetto narrante in prima persona, con un phrasing quasi irrefrenabile, senza discontinuità sintattica, un po’ alla Nanni Balestrini del Vogliamo Tutto. Una volta abituaticisi, è però tutto molto più gradevole e realistico del suddetto Balestrini soprattutto perchè Barbero riesce a ricreare l’ambiente culturale originario del tipico bianco povero sudista, legato totalmente al suo ambiente rurale di provenienza, alla sua filosofia cavalleresca da uomo semplice, alla spiritualità delle chiese e dei predicatori evangelici dei grandi revival religiosi del suo tempo, al razzismo paternalistico dominante per cui lo schiavo è “proprietà” da tutelare, è “inferiore” perchè lo dice la Bibbia, è una forza lavoro ma allo stesso tempo una presenza famigliare, una persona da proteggere e da sfamare decentemente. Se poi è donna, non è escluso che possa sostituire una moglie defunta o che possa essere richiamo di una sensualità peccaminosa per scappatelle proibite tanto quanto qualche giovane contadinella bianca del vicinato. Il protagonista narrante, veterano Dick Stanton di un’unità di fanteria dell’Alabama sul fronte della Virginia, ha solo un paio di schiavi che in tempo di pace lo aiutano a lavorare nei campi, e ci fa capire le ragioni per cui sente l’invasione degli odiati yankee come un’aggressione alla sua way of life da parte di un popolo profondamente “diverso” culturalmente, più ricco, avido, perfido mercenario ostaggio dei pochi abolizionisti “che se verranno qui si porteranno via i nostri negri“. Capiamo da Stanton che arruolarsi, per il bianco povero del sud, significava difendere la casa e la famiglia oltre che affermare l’orgoglio di appartenenza alla propria terra, al proprio Stato, affermare l’onore e la libertà di decidere per se stessi senza l’imposizione di un governo centrale che non ci rappresenta più, quindi autoritario se si vuole imporre (se vi ricorda qualcosa dell’attualità ci azzeccate…).
Ma non temete che ci sia troppa filosofia in Dick Stanton, in realtà si diverte molto a raccontare la vita militare nel suo reparto, le storie dei suoi amici e vicini in tempo di pace che si ritrovano con lui nei ranghi, le litigate e le scazzottate, le battaglie di palle di neve (con i sassi dentro) contro i presuntuosi texani, gli scherzi per tenere sù il morale durante le marce, come quello esilarante originato dal commilitone che sfilando accanto a un’unità di artiglieri in cui riconosce un vecchio amico, gli grida “Ehi Jim, come va?“, saluto che viene immediatamente ripreso da altri nei ranghi che sopraggiungono e per tutta la lunghezza della colonna, per l’imbarazzo del povero Jim che si sente sfottuto a ripetizione. Dicevo della cronologia confusa perchè si sovrappongono tempi, nomi e luoghi senza riguardo per l’accuratezza storica (Jackson che compare ancora vivo nella campagna finale di Appomattox, le battaglie citate un po’ a casaccio) ma anche nomi e luoghi che ai profani della storia della guerra civile non diranno niente, sovrapposizioni di situazioni vere ma distinte nella realtà storica. E’ plausibile il sospetto che l’autore abbia volontariamente apposto confusioni nel racconto di Stanton per rappresentare la memoria confusa di un anziano.
Non manca, diciamolo, la strizzatina d’occhio furbetta al politicamente corretto, per l’episodio finale dell’esecuzione a freddo dei prigionieri negri colti a imbracciare un fucile in battaglia con gli yankee: “Non ce l’avevamo con loro ma quando gli hanno dato un fucile in mano, be’ è diventata un’altra faccenda…non gli bastava al vecchio Abe Lincoln, là dalla sua poltrona a Washington, di mandarci contro i suoi briganti e mercenari assassini e la schiuma della terra ma anche i negri doveva mandarci…non ci abbiamo visto più…”. Un episodio di fiction che prende spunto da fatti avvenuti realmente ma in circostanze diverse e da ambo le parti, probabilmente il massacro di Fort Pillow dove i neri erano in uniforme o quello dei prigionieri di guerra sudisti in Nord Carolina sul finire della guerra ad opera di un reparto misto, yankee bianchi e neri. Una licenza letteraria che a uno come Barbero, per i suoi molti meriti, possiamo di buon grado perdonare perchè inserita in un contesto di tensione che doveva avere uno sbocco.
Se dunque cercate un’accurata ambientazione dal punto di vista del soldato semplice che fece e subi quella terribile guerra, Alabama è per voi. Potrà anche esservi di introduzione e stimolo per andare a leggere di vera storia della guerra civile americana. In quel caso però, Barbero mi perdoni, mi orienterei sulle opere di Raimondo Luraghi.(F.S. 7.5.2021).