(pubbl. su American West, n.1/2008)
A poche settimane dal suo 75mo compleanno, una discussione sulla vera identità artistica del King. Fuori dal coro, come sempre.
di Fabrizio Salmoni
Da sempre siamo bombardati dai luoghi comuni su Elvis dei tromboni della critica musicale italiana: …ha sdoganato la musica nera…ha inventato il Rock&Roll…l’anticipatore della protesta giovanile per la sua fisicità, la sua estetica ribelle, ecc. Si diffonde la falsa idea di un giovane bianco che dal vuoto di una cultura marginale si appropria della superiore musica nera e la fa conoscere al mondo. Una specie di razzismo culturale al contrario.
Come potete immaginare, in realtà le cose stanno diversamente. Fiumi di carta sono stati scritti sull’argomento ma la nozione che emerge più forte nelle analisi serie è che Elvis sia stato figlio del suo tempo e della sua comunità culturale: il Sud bianco degli Stati Uniti. E in quanto tale, ci sentiamo di andare oltre, sia stato soprattutto un innovatore del country, uno di quegli artisti unici che ciclicamente nel tempo hanno rinnovato il genere adattandolo ai gusti del pubblico ed ampliandone il mercato. Come Hank Williams prima di lui, come Willie Nelson e gli outlaws texani negli anni ’70, come Garth Brooks negli anni ’90. Ma andiamo per ordine.
Non inventò il Rock&Roll
Elvis Presley è certamente stato il Re del Rock&Roll, la più importante figura della musica del 20mo secolo ma per chi conosce la musica americana, è risaputo che Elvis non inventò il Rock&Roll. Prima di lui, nel 1954, Bill Haley & The Comets, una country-rockabilly band, fece successo con Rock Around The Clock, una canzone che fu accreditata dai media come inno della nuova gioventù per essere stata inclusa nella colonna sonora di Blackboard Jungle un film sulla delinquenza giovanile. Per molti osservatori, quello fu l’inizio del mito del Rock&Roll nel lessico e come musica dei giovani.
Ma erano già diversi anni che il rockabilly teneva il palco. Era stato così definito perché proveniva dalla musica hillbilly (la prima definizione del country) ma prevedeva un’accentuazione (rocking) del ritmo. Questo nuovo stile musicale era decisamente sudista nei connotati e in quanto tale conteneva naturalmente contaminazioni nere. Tra i suoi maggiori esponenti c’erano Carl Perkins, Johnny Cash, Charlie Rich, Conway Twitty, Buddy Holly, Wanda Jackson, Gene Vincent, Jerry Lee Lewis, Brenda Lee. Tutti provenienti dal sud rurale o semi-urbanizzato, tutti provenienti dal country a cui, prevalentemente, dopo la breve stagione del rock&roll, sarebbero tornati con rinnovato successo. Tra le caratteristiche dei rockabillies c’era un forte edonismo, un grande senso della mascolinità (nelle donne una forte aggressività), un’emotività viscerale che aveva radici tanto nelle chiese quanto nei beer joints.
Un ragazzo del Sud
Quelle caratteristiche le ritroviamo nel giovane Elvis, figlio di bianchi poveri urbanizzati a Memphis per necessità, religiosamente ispirati dalla fede Pentecostale (la Assembly of God). Come sostiene Bill C. Malone, il maggiore studioso della country music: ‘ Presley non intendeva minimamente sfidare alcun aspetto di quel mondo sudista e proletario da cui proveniva…e anche se cantava con qualche inflessione nera, mai mise in discussione i valori razziali della sua regione…’. Come la nutrita schiera dei rockabillies, poteva essere irrequieto e aggressivo ma non era certo estremista. I suoi modi erano tipicamente sudisti (es. la profusione di ‘sir’ e ‘ma’am’ nella conversazione), il suo patriottismo pure, così come la sua diffidenza verso i rockers degli anni ’60 da cui si sarebbe sentito lontano.
E a proposito delle influenze musicali di Elvis, Malone scrive ancora: ‘…era ampiamente figlio del suo tempo e dei media. Modo di vestire e atteggiamenti erano parzialmente mutuati dai film e dalla televisione, mentre i suoi gusti musicali erano influenzati dalla radio. Ascoltava country music, gospel, Rhythm& Blues e il pop che andava per la maggiore nelle radio di Memphis…’. I suoi punti di riferimento erano nomi come Dean Martin, Bing Crosby, Eddy Arnold, Red Foley, Ink Spots, ma i più tipici ingredienti del suo stile provenivano dai white gospels.
Un nuovo enorme mercato
Elvis deflagra nel 1954 con That’s Alright, un vecchio blues del nero Arthur Crudup quasi irriconoscibile nella versione ‘bianca’ di Elvis, aggressiva ma modulata e melodica, e con Blue Moon of Kentucky il già classico bluegrass hit di Bill Monroe. Come si sa, i singles che seguirono per la Sun Records contenevano sempre un lato con una cover country: Milk Cow Blues Boogie (sempre Bill Monroe), I’m Left, You’re Right, She’s Gone , I Forgot To Remember To Forget (entrambi di Stan Kesler, uno steel guitar player di Nashville) mentre solo I Don’t Care If the Sun Don’t Shine era dell’autore pop Mack David. Sull’onda del successo, Elvis viene chiamato a far parte del cast della trasmissione radiofonica country Louisiana Hayride ed inizia a tenere concerti nel circuito country del SudOvest. Viene invitato anche alla Grand Ole Opry (dove per la verità non viene accolto con gli entusiasmi per lui ormai abituali), e nel 1955 il Colonnello Parker lo fa scritturare alla RCA di Nashville il cui boss Steve Sholes lo inserisce nel gotha di Music City, un ambiente professionale ben conscio dell’impatto di Elvis sui gusti del pubblico giovane.
Dire quindi che Elvis rese il blues o la musica nera accettabile al pubblico bianco è una forzatura se non una palese mistificazione. La realtà parla di un personale mix di R&B, country e pop che fu ampiamente recepito dal pubblico bianco nella sua peculiare versione. La RCA sostituì i musicisti che lo accompagnavano, aggiunse alla ricetta Elvis il quartetto vocale dei Jordanaires che davano agli arrangiamenti le suggestioni del gospel, mobilitò lo stesso Chet Atkins per le parti di chitarra ma inevitabilmente e gradatamente livellò il rockabilly beat dei primi anni su uno standard sempre più pop. Da quella fase in poi rimane materia di discussione l’identità musicale del King. Ma intanto Nashville aveva confezionato un fenomeno che vendeva dischi e biglietti ad una enorme massa di giovani come mai prima.
Hank Williams
A chi appartiene Elvis
In ultima analisi, l’identificazione dell’Elvis delle origini con l’ambiente culturale e discografico del country è totale: buona parte del suo repertorio, le radio che lo trasmettevano, il pubblico, le classifiche, i musicisti e gli executive che lo circondavano. Elvis rinvigorì il mercato della country music in un periodo in cui le vendite ristagnavano e in cui l’effetto Hank Williams si era già contratto su artisti come Lefty Frizzell, Kitty Wells, Hank Snow, validi ma non in grado di rompere barriere e conquistare nuovo pubblico.
Il suo stile vocale aveva un fraseggio che sarebbe rimasto come modello da riproporre: quell’alternanza disinvolta tra toni alti e bassi che toccava cuore e sensi del suo pubblico sarebbe diventato presto ‘il’ modo di cantare country ed ancora oggi l’impatto emotivo del country è veicolato dalle stesse evoluzioni vocali.
Elvis fu indotto nella Country Music Hall of Fame nel 1998 e, mentre è stato da tempo cancellato dai palinsesti delle radio pop, non c’è ancora oggi radio country che non lo riproponga costantemente. E non ha fine l’elenco delle canzoni country che ancora oggi lo evocano, nel titolo o nel testo. Qui sotto ne diamo un estratto.
Per molti, il vero Elvis è quello della prima fase, quella che termina con la sua chiamata alle armi. Il dopo è una storia di circostanze che avrebbero travolto ragazzi ben più forti di lui. L’Elvis icona pop è altra persona e altro artista, discusso e discutibile tranne che nella sua unicità.
Gli altri innovatori
Willie Nelson
Il mercato del country, da lui rivitalizzato, ripiega nuovamente nei quindici anni seguenti tra la progressione nel pop di Nashville (Patsy Cline, Ray Price,…), artisti di provenienza regionale, nuove superstar (George Jones, Buck Owens, Merle Haggard…), che si ritagliano ampie aree di pubblico ma mai riescono a sfondare altri muri.
Ci vorrà Willie Nelson e la sua schiera di outlaws texani per rinnovare la musica e per collegare mercati che non comunicavano: rednecks e hippies, cowboys e studenti. Un rinnovamento che tiene più che in periodi passati, forse per una creatività che non si spegne mai tra ‘padri fondatori’ e nuovi adepti della Texas music, finchè Nashville non riprende il controllo e lancia i neotradizionalisti degli anni ’80-90 tra cui il fenomeno Garth Brooks.
Garth Brooks
Il ragazzone dell’Oklahoma travolge classifiche e barriere di ogni tipo. Vende più di centotrenta milioni di album, più di Bruce Springsteen, più di Prince, più di chiunque altro (tranne Elvis e Beatles) ma soprattutto cambia la qualità della musica e conquista al country il mercato mondiale. Mai prima di lui la country music tocca cifre di mercato epocali e supera il pop-rock in vendite, diffusione della rete radiofonica, sponsor pubblicitari. E’ l’ultimo innovatore in ordine di tempo. Da quando si è parzialmente ritirato ed il suo (primo?) ciclo si è apparentemente concluso, Nashville è alla costante, frenetica ricerca del nuovo Garth Brooks, o del nuovo Elvis. Se dovesse arrivare, state sicuri che uscirebbe da Music Row, non da New York e nemmeno da Los Angeles.
Ma alla fine, chi ha inventato il Rock&Roll?
E’ opinione diffusa che il vero ‘inventore’ del Rock&Roll fu il nerissimo, istrionico Chuck Berry in quanto elaborò il beat del rockabilly, accelerandolo ulteriormente e abbellendolo con proprie invenzioni tecniche e con il linguaggio dei teen agers. Sweet Little Sixteen, Roll Over Beethoven, School Days, Rock&Roll Music, Little Queenie, Around and Around: già nei titoli si parla di amori giovanili, macchine e libertà, soda pop e feste scolastiche, avventura e gioia. Il linguaggio di Chuck Berry è generalista e interrazziale, anzi, più bianco che nero, più adatto e funzionale alle esigenze dell’industria discografica per creare un nuovo mercato.
Tribute Country Songs dedicate a ELVIS PRESLEY
Qui elencate, trovate un piccolo numero delle tante canzoni country che fanno riferimento ad Elvis. Stanno a indicare, e tanto più nei testi, il legame culturale e artistico preferenziale che si è consolidato nel tempo tra il Re e la comunità del country. Tante di più sono le canzoni che lo citano nel testo e non nel titolo. Una, recente, per tutte: Cry Like Memphis di MeMarie (si legge Mèmory) che recita: I’m gonna cry like Memphis/when they heard the King was gone.
1. “From Graceland To The Promiseland” – Merle Haggard
2 “The King is Gone (So Are You)” – George Jones
3. “Boy From Tupelo” – Emmylou Harris
4. “The Day Elvis Died” – Boxcar Willie
5. “Elvis Has Left the Building” – Jerry Reed
6. “I Saw Elvis in a UFO” – Ray Stevens
7. “Bigger Than the Beatles” – Joe Diffie
8. “Elvis Presley Blues” – Jimmy Buffett
9. “Elvis Was a Narc” – Pinkard and Bowden
10. “I Try to Think About Elvis” – Patty Loveless
11 “Elvis, Marilyn and James Dean” – Bellamy Brothers
12. “The King Is Gone” – Ronnie McDowell
13. “Elvis and Andy” – Confederate Railroad
14. “Elvis Imitators” – Jimmy Buffett
15. “Bringin’ Out the Elvis” – Faith Hill
16. “Tupelo’s Too Far” – Ronnie McDowell