25 Novembre

Un segno di buona fortuna e di speranza? Ai piedi del Bosco di Salbertrand viene rinvenuta una rarissima Epipactis helleborinae rodanensis, un’ orchidea probabilmente unica in Italia. L’hanno trovata in un’area destinata ad ospitare pannelli fotovoltaici per il paese. E’ intervenuto l’Assessore all’Ambiente della Provincia che ha vietato qualsiasi taglio d’erba. Si invertono paradossalmente le parti. Il Sindaco mugugna: il paese perderà 500 Kw. Mi piacerebbe che l’helleborina fosse adottata come Fiore Ufficiale del Movimento…

Moby Grape

Moby Grape Live

Historical recordings 1966-1969

(Sundazed)

Un disco che interesserà soprattutto a chi ha vissuto la stagione del rock californiano negli anni in cui Jefferson Airplane, Grateful Dead e, appunto, questi Moby Grape erano il punto di riferimento della scena hip e psichedelica di San Francisco. Il primo disco dei Moby Grape uscì nel 1967 in Italia grazie alla Ricordi. Chi ce l’ha (come il sottoscritto) lo comprò probabilmente per caso, sulla fiducia dei dati di provenienza, sull’impatto della copertina che parlava un linguaggio immediatamente comprensibile e sulla scorta degli entusiasmi dell’epoca. Era un rock acido, scatenato, proveniente da una formazione insolita, preludio a quelle dei gruppi di rock sudista della Capricorn anni ’70: tre chitarre (Peter Lewis, Jerry Miller ed il genio bizzarro Alex ‘Skip’ Spence), basso (Bob Mosley), una batteria fulminante (Don Stevenson), cori a tre voci. Contendevano il primato della Baia proprio ai Jefferson Airplane e per breve tempo li surclassarono. Il secondo album, Wow!, fin dalla grafica artistica di copertina che è ancora tra le più famose dell’epoca, ne rivelò vieppiù il lato psichedelico: ineguagliabile la trovata di inserire un fox trot-tributo al Re dei singing-cowboys Gene Autry da ascoltare commutando il giradischi a 78 giri! La perdita di Spence che non resistette allo stress del successo e si ripiegò sui propri malesseri mentali riportò i Grape ad una dimensione più ‘normale’, addirittura ad un recupero di sonorità folk-rock, ma sempre molto apprezzabile con i successivi M.G. 69 e Truly Fine Citizen. Poi fu la notte. Dal vivo erano una forza della natura che viene svelata appieno in questo Live di registrazioni inedite recuperate dalla Sundazed. Si tratta di tre set: il primo, purtroppo il meno godibile, anzi abbastanza inascoltabile, per il mixaggio inesistente, è del 1967 all’Avalon Ballroom di Frisco; il suono è ruvido, potente ma sbilanciato sulle voci e privo delle frequenze intermedie. Meglio gli altri due, cioè l’intero show al celeberrimo Monterey Pop Festival nello stesso anno, quattro brani al fulmicotone: una furiosa Indifference, la strana, tosta Mr. Blues, la lenta elettrica Sitting By the Window e Omaha, loro signature song, entusiasmante. Il terzo set è tratto da un concerto in Olanda del 1969, già senza Spence, che comprende l’altro hit Fall On You, un interseco di cori e chitarre a gran velocità, la bizzarra Murder In My Heart For the Judge, la lenta e un po’ abbacinata I am Not Willing, il rock-quasi country Truckin’ Man. A completamento, una rara versione di Sweet Little Angel di B.B. King registrata nel 1967 e l’acida improvvisazione chitarristica Dark Magic in atmosfera swamp-voodoo, del 1966. In attesa delle ristampe digitali degli album originali, da non perdere, questo Live è un articolo sicuramente valido e interessante per collezionisti, nostalgici del West Coast sound e fans collaudati dei Grape.

Discussione. Elvis, Re del…country

(pubbl. su American West, n.1/2008)

A poche settimane dal suo 75mo compleanno, una discussione sulla vera identità artistica del King. Fuori dal coro, come sempre.

di Fabrizio Salmoni

Da sempre siamo bombardati dai luoghi comuni su Elvis dei tromboni della critica musicale italiana: …ha sdoganato la musica nera…ha inventato il Rock&Roll…l’anticipatore della protesta giovanile per la sua fisicità, la sua estetica ribelle, ecc. Si diffonde la falsa idea di un giovane bianco che dal vuoto di una cultura marginale si appropria della superiore musica nera e la fa conoscere al mondo. Una specie di razzismo culturale al contrario.

Come potete immaginare, in realtà le cose stanno diversamente. Fiumi di carta sono stati scritti sull’argomento ma la nozione che emerge più forte nelle analisi serie è che Elvis sia stato figlio del suo tempo e della sua comunità culturale: il Sud bianco degli Stati Uniti. E in quanto tale, ci sentiamo di andare oltre, sia stato soprattutto un innovatore del country, uno di quegli artisti unici che ciclicamente nel tempo hanno rinnovato  il genere adattandolo ai gusti del pubblico ed ampliandone il mercato. Come Hank Williams prima di lui, come Willie Nelson e gli outlaws texani negli anni ’70, come Garth Brooks negli anni ’90. Ma andiamo per ordine.

Non inventò il Rock&Roll

Elvis Presley è certamente stato il Re del Rock&Roll, la più importante figura della musica del 20mo secolo ma per chi conosce la musica americana, è risaputo che Elvis non inventò il Rock&Roll. Prima di lui, nel 1954,  Bill Haley & The Comets, una country-rockabilly band, fece successo con Rock Around The Clock, una canzone che fu accreditata dai media come inno della nuova gioventù  per essere stata inclusa nella colonna sonora di Blackboard Jungle un film sulla delinquenza giovanile. Per molti osservatori, quello fu l’inizio del mito del Rock&Roll nel lessico e come musica dei giovani.

Ma erano già diversi anni che il rockabilly teneva il palco. Era stato così definito perché proveniva dalla musica hillbilly (la prima definizione del country) ma prevedeva un’accentuazione (rocking) del ritmo. Questo nuovo stile musicale era decisamente sudista nei connotati e in quanto tale conteneva naturalmente contaminazioni nere. Tra i suoi maggiori esponenti c’erano Carl Perkins, Johnny Cash, Charlie Rich, Conway Twitty, Buddy Holly, Wanda Jackson, Gene Vincent, Jerry Lee Lewis, Brenda Lee. Tutti provenienti dal sud rurale o semi-urbanizzato, tutti provenienti dal country a cui, prevalentemente, dopo la breve stagione del rock&roll, sarebbero tornati con rinnovato successo. Tra le caratteristiche dei rockabillies c’era un forte edonismo, un grande senso della mascolinità (nelle donne una forte aggressività), un’emotività viscerale che aveva radici tanto nelle chiese quanto nei beer joints.

Un ragazzo del Sud

Quelle caratteristiche le ritroviamo nel giovane Elvis, figlio di bianchi poveri urbanizzati a Memphis per necessità, religiosamente ispirati dalla fede Pentecostale (la Assembly of God). Come sostiene Bill C. Malone, il maggiore studioso della country music: ‘ Presley non intendeva minimamente sfidare alcun aspetto di quel mondo sudista e proletario da cui proveniva…e anche se cantava con qualche inflessione nera, mai mise in discussione i valori razziali della sua regione…’. Come la nutrita schiera dei rockabillies, poteva essere irrequieto e aggressivo ma non era certo estremista. I suoi modi erano tipicamente sudisti (es. la profusione di ‘sir’ e ‘ma’am’ nella conversazione), il suo patriottismo pure, così come la sua diffidenza verso i rockers degli anni ’60 da cui si sarebbe sentito lontano.

E a proposito delle influenze musicali di Elvis, Malone scrive ancora: ‘…era ampiamente figlio del suo tempo e dei media. Modo di vestire e atteggiamenti erano parzialmente mutuati dai film e dalla televisione, mentre i suoi gusti musicali erano influenzati dalla radio. Ascoltava country music, gospel, Rhythm& Blues e il pop che andava per la maggiore nelle radio di Memphis…’. I suoi punti di riferimento erano nomi come Dean Martin,  Bing Crosby, Eddy Arnold, Red Foley, Ink Spots, ma i più tipici ingredienti  del suo stile provenivano dai white gospels.

Un nuovo enorme mercato

Elvis deflagra nel 1954 con That’s Alright, un vecchio blues del nero Arthur Crudup quasi irriconoscibile nella versione ‘bianca’ di Elvis, aggressiva ma modulata e melodica, e con Blue Moon of Kentucky il già classico bluegrass hit di Bill Monroe. Come si sa, i singles che seguirono per la Sun Records contenevano sempre un lato con una cover country: Milk Cow Blues Boogie (sempre Bill Monroe), I’m Left, You’re Right, She’s Gone , I Forgot To Remember To Forget (entrambi di Stan Kesler, uno steel guitar player di Nashville) mentre solo I Don’t Care If the Sun Don’t Shine era dell’autore pop Mack David. Sull’onda del successo, Elvis viene chiamato a far parte del cast della trasmissione radiofonica country Louisiana Hayride ed inizia a tenere concerti nel circuito country del SudOvest. Viene invitato anche alla Grand Ole Opry (dove per la verità non viene accolto con gli entusiasmi per lui ormai abituali), e nel 1955 il Colonnello Parker lo fa scritturare alla RCA di Nashville il cui boss Steve Sholes lo inserisce nel gotha di Music City, un ambiente professionale ben conscio dell’impatto di Elvis sui gusti del pubblico giovane.

Dire quindi che Elvis rese il blues o la musica nera accettabile al pubblico bianco è una forzatura se non una palese mistificazione. La realtà parla di un personale mix di R&B, country e pop che fu ampiamente recepito dal pubblico bianco nella sua peculiare versione. La RCA sostituì i musicisti che lo accompagnavano, aggiunse alla ricetta Elvis il quartetto vocale dei Jordanaires che davano agli arrangiamenti le suggestioni del gospel, mobilitò lo stesso Chet Atkins per le parti di chitarra ma inevitabilmente e gradatamente livellò il rockabilly beat dei primi anni su uno standard sempre più pop. Da quella fase in poi rimane materia di discussione l’identità musicale del King. Ma intanto Nashville aveva confezionato un fenomeno che vendeva dischi e biglietti ad una enorme massa di giovani come mai prima.

Hank Williams

A chi appartiene Elvis

In ultima analisi, l’identificazione dell’Elvis delle origini con l’ambiente culturale e discografico del country è totale: buona parte del suo repertorio, le radio che lo trasmettevano, il pubblico, le classifiche, i musicisti e gli executive che lo circondavano. Elvis rinvigorì il mercato della country music in un periodo in cui le vendite ristagnavano e in cui l’effetto Hank Williams si era già contratto su artisti come Lefty Frizzell, Kitty Wells, Hank Snow, validi ma non in grado di rompere barriere e conquistare nuovo pubblico.

Il suo stile vocale aveva un fraseggio che sarebbe rimasto come modello da riproporre: quell’alternanza disinvolta tra toni alti e bassi che toccava cuore e sensi del suo pubblico sarebbe diventato presto ‘il’ modo di cantare country ed ancora oggi l’impatto emotivo del country è veicolato dalle stesse evoluzioni vocali.

Elvis fu indotto nella Country Music Hall of Fame nel  1998 e, mentre è stato da tempo cancellato dai palinsesti delle radio pop, non c’è ancora oggi radio country che non lo riproponga costantemente. E non ha fine l’elenco delle canzoni country che ancora oggi lo evocano, nel titolo o nel testo. Qui sotto ne diamo un estratto.

Per molti, il vero Elvis è quello della prima fase, quella che termina con la sua chiamata alle armi. Il dopo è una storia di circostanze che avrebbero travolto ragazzi ben più forti di lui. L’Elvis icona pop è altra persona e altro artista, discusso e discutibile tranne che nella sua unicità.

Gli altri innovatori

Willie Nelson

Il mercato del country, da lui rivitalizzato, ripiega nuovamente nei quindici anni seguenti tra la progressione nel pop di Nashville (Patsy Cline, Ray Price,…), artisti di provenienza regionale, nuove superstar (George Jones, Buck Owens, Merle Haggard…), che si ritagliano ampie aree di pubblico ma mai riescono a sfondare altri muri.

Ci vorrà Willie Nelson e la sua schiera di outlaws texani per rinnovare la musica e per collegare mercati che non comunicavano: rednecks e hippies, cowboys e studenti. Un rinnovamento che tiene più che in periodi passati, forse per una creatività che non si spegne mai tra ‘padri fondatori’ e nuovi adepti della Texas music, finchè Nashville non riprende il controllo e lancia i neotradizionalisti degli anni ’80-90 tra cui il fenomeno Garth Brooks.

Garth Brooks

Il ragazzone dell’Oklahoma travolge classifiche e barriere di ogni tipo. Vende più di centotrenta milioni di album, più di Bruce Springsteen, più di Prince, più di chiunque altro (tranne Elvis e Beatles) ma soprattutto cambia la qualità della musica e conquista al country il mercato mondiale. Mai prima di lui la country music tocca cifre di mercato epocali e supera il pop-rock in vendite, diffusione della rete radiofonica, sponsor pubblicitari. E’ l’ultimo innovatore in ordine di tempo. Da quando si è parzialmente ritirato ed il suo (primo?) ciclo si è apparentemente concluso, Nashville è alla costante, frenetica ricerca del nuovo Garth Brooks, o del nuovo Elvis. Se dovesse arrivare, state sicuri che uscirebbe da Music Row, non da New York e nemmeno da Los Angeles.

Ma alla fine, chi ha inventato il Rock&Roll?

E’ opinione diffusa che il vero ‘inventore’ del Rock&Roll fu il nerissimo, istrionico Chuck Berry in quanto elaborò il beat del rockabilly, accelerandolo ulteriormente e abbellendolo con proprie invenzioni tecniche e con il linguaggio dei teen agers. Sweet Little Sixteen, Roll Over Beethoven, School Days, Rock&Roll Music, Little Queenie, Around and Around: già nei titoli si parla di amori giovanili, macchine e libertà, soda pop e feste scolastiche, avventura e gioia. Il linguaggio di Chuck Berry è generalista e interrazziale, anzi, più bianco che nero, più adatto e funzionale alle esigenze dell’industria discografica per creare un nuovo mercato.

 Tribute Country Songs dedicate a ELVIS PRESLEY

Qui elencate, trovate un piccolo numero delle tante canzoni country che fanno riferimento ad Elvis. Stanno a indicare, e tanto più nei testi, il legame culturale e artistico preferenziale che si è consolidato nel tempo tra il Re e la comunità del country. Tante di più sono le canzoni che lo citano nel testo e non nel titolo. Una, recente, per tutte: Cry Like Memphis di MeMarie (si legge Mèmory) che recita: I’m gonna cry like Memphis/when they heard the King was gone. 

1.  “From Graceland To The Promiseland” – Merle Haggard

2   “The King is Gone (So Are You)” – George Jones

3.  “Boy From Tupelo” – Emmylou Harris

4.  “The Day Elvis Died” – Boxcar Willie

5.  “Elvis Has Left the Building” – Jerry Reed

6.  “I Saw Elvis in a UFO” – Ray Stevens

7.  “Bigger Than the Beatles” – Joe Diffie

8.  “Elvis Presley Blues” – Jimmy Buffett

9.  “Elvis Was a Narc” – Pinkard and Bowden

10. “I Try to Think About Elvis” – Patty Loveless

11  “Elvis, Marilyn and James Dean” –  Bellamy Brothers

12. “The King Is Gone” – Ronnie McDowell

13. “Elvis and Andy” – Confederate Railroad

14. “Elvis Imitators” – Jimmy Buffett

15. “Bringin’ Out the Elvis” – Faith Hill

16. “Tupelo’s Too Far” – Ronnie McDowell

INCHIESTA – Il CICAP: Men in Black?

Avete mai visto una puntata di Voyager o un programma tv dedicato a un qualche cosiddetto ‘mistero’? C’è sovente nel contradditorio che segue i servizi un signore, tal Massimo Polidoro, che con sorriso dalemiano, tipico di chi la sa lunga, è addetto a ‘smontare’ qualsiasi fenomeno anomalo. Me lo ricordo nel salotto di Vespa in una puntata dedicata al  veggente torinese da tempo scomparso, Gustavo Rol: Polidoro faceva a gara col Mago Silvan nel demolirne le presunte capacità paranormali ricordate da testimoni, tra cui il giornalista Vittorio Messori, che con molto garbo e qualche umano imbarazzo dovuto alla delicatezza dell’argomento davano testimonianza degli ‘esperimenti’ a cui avevano personalmente assistito o addirittura partecipato. Gente che verosimilmente nulla aveva da guadagnare nel sostenere la straordinarietà di Rol. Il Mago Silvan rivelava subito che Rol non l’aveva mai voluto ricevere malgrado le sue ripetute richieste e che quindi era sicuramente un impostore (voi ricevereste il Mago Silvan?); il Polidoro invece, che si presentava come membro del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale), non si distingueva tanto per gli argomenti, peraltro non dissimili da quelli di Silvan, quanto per il sarcasmo e  la singolare aggressività nei confronti dei testimoni e della materia in discussione. L’argomento forte del nostro è sempre il seguente: ‘la scienza non lo spiega quindi non può essere, tuttalpiù è una bufala’. E tanti saluti all’ Inquisizione e a Galileo.

Ogni volta che mi imbatto in quel signore o in altri suoi colleghi di CICAP mi pongo sempre le stesse domande: ma non sarà che la scienza oggi non è in grado di spiegare cose che forse in qualche futuro sarà in grado di spiegareNon è forse la scienza materia in evoluzione quanto la storia dell’umanità? Che razza di atteggiamento scientifico è quello che nega a priori un’ipotesi invece di accettarla per andarla a verificare con animo e mente liberi?Perché tanto accanimento nel voler dimensionare qualsiasi fenomeno anomalo o ‘straordinario’ nel ridicolo?

Insomma, in ogni occasione di dibattito su un qualsiasi argomento fuori dall’ordinario l’onnipresente membro del CICAP è pronto a sminuire, smentire, ridicolizzare, dare una versione prosaica degli avvenimenti. E la conclusione sostanzialmente è poi sempre la stessa: ‘non ci può essere anomalia’. Non è strano tutto questo?

Io l’ho trovato strano ed ho fatto una piccola indagine da cui è scaturito qualcosa di interessante (e forse sì, in questo caso, anomalo). Sentite un po’.

Il CICAP è stato fondato nel 1989, si definisce Organizzazione Educativa e senza finalità di lucro. La sua missione è ‘ promuovere l’indagine scientifica e critica sul paranormale’ e fa parte di una rete internazionale di enti che si chiama European Council of Skeptical Organizations (ECSO) . E’ presente in ben 14 regioni italiane. Tra i membri, due apprezzati divulgatori scientifici, Piero Angela e Piero Bianucci (La Stampa-Tuttoscienze). Tra i fondatori c’è naturalmente LUI, il Polidoro, e la sua scheda biografica ci dice che ‘…è considerato uno dei maggiori esperti internazionali nel campo del mistero e della psicologia dell’insolito’(?). E’ stato allievo del mago americano James Randi, detto ‘Magic Randi’, che lo ha folgorato con i suoi trucchi e da allora convinto a dedicarsi allo smascheramento di tutti gli impostori che ingannano l’umanità, tranne Vanna Marchi. Poca scienza in tutto ciò. E’ particolarmente prolifico in materia di libri, ne ha scritti o co-scritti una trentina dal 1995 (una media di due all’anno!).

L’ECSO, la casa-madre che mostra nel sito un Calendario Eventi desolatamente vuoto, si dà per scopo:

1)      Proteggere il pubblico dalle terapie non comprovate, 2) Investigare con testi e  esperimenti le affermazioni che contraddicono l’attuale conoscenza scientifica, in particolare quelle relative al paranormale o allo pseudo-scientifico, 3) Promuovere politiche pubbliche basate sulla pratica scientifica.

Il roster dell’associazione vede come Presidente certo Amardeo Sarma (Germania), il

Vicepresidente Jirì Gryar (Rep. Ceca) e nel Board, Michael Heap (UK), Paul O’Donoghue (Eire), Tim Trachet (Belgio), nomi che a tutta prima non mi dicono niente ma, guarda guarda chi c’è: il nostro Massimo Polidoro. Ci torneremo ma intanto la nostra ricerca prosegue seguendo la filiera fornita dai siti.

Tra le organizzazioni affiliate all’ECSO sono segnalati il CSICOP  ed il CSI (Committee for the Skeptical Inquirer) negli USA.

 Il CSICOP, per esteso Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal , una denominazione che richiama immediatamente quella del  CICAP, è in attività dal 1976. Nella dichiarazione di intenti si legge: ‘Il CSICOP incoraggia l’investigazione critica del paranormale e delle affermazioni delle pseudo-scienze da un punto di vista responsabile e scientifico e divulga l’informazione sui risultati delle ricerche alla comunità scientifica e al pubblico’  Nel Settembre 2006, il CSICOP diventa CSI per ragioni prevalentemente mediatiche (per facilità di utilizzo e perché il termine paranormale viene giudicato limitativo).

Missione dichiarata è ‘promuovere la ricerca scientifica, l’investigazione critica e l’uso della ragione nell’esaminare affermazioni controverse’.

Oltre alla propria Newsletter, il CSI pubblica il magazine Skeptical Inquirer in cui i membri si pronunciano su ogni tipo di argomento misterioso. Nel lungo elenco dei Fondatori (un’ottantina), spiccano nomi di scienziati, scrittori, filosofi, tra cui tre premi Nobel ma in realtà chi scrive sull’Inquirer  o chi ‘investiga’sono quasi esclusivamente i peones e la loro caratteristica primaria è quella dei propagandisti non dei ricercatori. Nei loro scritti i dati vengono selezionati e la realtà viene rappresentata in modo distorto. Il fisico nucleare Stanton T. Friedman, compagno di corso di Carl Sagan all’Università di Chicago, fa un’analisi impietosa del metodo analitico su un numero a campione (www. stantonfriedman.com). Seppure molto carente sul piano della ricerca scientifica, il CSICOP eccelleva nelle pubbliche relazioni: i suoi membri pubblicavano scritti a nome dell’organizzazione su diversi periodici, dal Smithsonian al Readers’ Digest ed altri. Ciò che li distingueva dagli articoli di accademici e scienziati tuttavia era tipicamente il tono, lo stile,  l’utilizzo di standard propagandistici come l’attribuzione a priori di etichette come ‘impostori’ o di termini come ‘pseudoscienza’, ‘nonsense’ o per appellarsi genericamente agli ‘scienziati’ o ad ‘autorità’, senza ulteriori riferimenti o specifiche.

Tra i membri del CSICOP c’era Philip J. Klass, recentemente deceduto, non uno scienziato ma un ingegnere prestato al giornalismo. Dal 1952 infatti, dopo alcuni anni di lavoro alla General Electric, grande corporation appaltatrice del Pentagono per armamenti ed energia nucleare, Klass si dedica alla rinomata rivista di settore aerospaziale Aviation Weekly & Space Technology  per la quale scrive di progetti militari con preferenza per quelli finanziati con ‘fondi neri’ del bilancio della Difesa e della CIA. Si ritira da Aviation Weekly nel 1986 ma continua dall’esterno a collaborare sugli stessi argomenti. Contemporaneamente si dedica anima e cuore al fenomeno degli UFO e si fa un nome intervenendo pubblicamente ogni qualvolta si affronti l’argomento, duellando verbalmente con i ricercatori indipendenti, partecipando come contradditore a numerosi dibattiti in TV e distribuendo ad ogni opportunità comunicati e articoli di discusso contenuto scientifico ai media.

Malgrado le sue scarse credenziali scientifiche Klass risulta che abbia sempre avuto buona udienza presso i media, gli ambienti militari e dell’intelligence . Nel corso della carriera, si segnala sovente per adottare metodi scorretti (calunnie, falsi, attacchi personali e insinuazioni nei confronti di colleghi e ricercatori per far ritirare inviti a conferenze o trasmissioni radiotelevisive o incarichi di varia natura, disturbi nei convegni, intimidazioni). Richard Dolan, storico del fenomeno e della ricerca sugli UFO, ha dichiarato che ‘…le analisi di Klass sul fenomeno erano di scarsa profondità e politicamente motivate…una delle sue prime motivazioni nel voler demolire (la ricerca sugli UFO) rivela l’ esplicito sostegno (alle posizioni del ) governo e della comunità della sicurezza nazionale…Il suo lascito sta tutto negli sforzi di persuadere spaventandoli i suoi bersagli. Se lo facesse o no per conto della comunità dell’intelligence ad oggi non è stato dimostrato pubblicamente ma gli indizi sembrano andare in quella direzione…

Oltre che sullo SI, i membri CSI pubblicano le loro opinioni sulle edizioni Prometheus Books (Edizioni Prometeo, le stesse pubblicizzate dal CICAP) che oltre che sfrucugliare ogni aspetto del sapere spirituale e dei misteri universali (buoni quando si tratta di specularci ambiguamente con titoli di richiamo per gli sprovveduti), offrono anche un vasto catalogo su argomenti sessuali (Storia del Preservativo, Guida per ragazze al successo nel sesso, transgender, travestitismo, ecc.); tra gli autori offerti ritroviamo diversi membri CSI. L’associazione dei soggetti nell’amplissimo, generalista, catalogo è tale da incuriosire e fa venire in mente, tutto sommato, che il finanziamento incrociato di attività proficue con altre non proficue è considerato caratteristico dei maneggi dei servizi segreti di tutto il mondo. Del resto, con cosa si finanziano i nostri ‘scettici’? Loro dichiarano ‘con le quote associative, gli abbonamenti, le donazioni’…voci che risaputamente non portano molto in cassa. Eppure sembra che i nostri scettici dispongano di buoni mezzi se, ogniqualvolta le cronache lo richiedano, si mobilitano all’istante e utilizzano anche  voli privati per la rilevazione aerea.

E tutto questo, pensate un po’, per il nobile scopo di ‘contribuire a promuovere la scienza’, come se la ‘scienza’ avesse bisogno di loro, contro schiere di prestigiatori e immaginari detrattori! Ha senso?

Non per niente, alcune fonti giornalistiche americane apertamente concordano nel riferirsi all’ex CSICOP come di una ‘front organization’ della comunità dei servizi di intelligence USA, dedita alla manipolazione dei media, un ente di facciata, in cui non necessariamente tutti i membri conoscono i legami con la casa-madre, ma che contribuisce a manipolare l’opinione pubblica nell’ambito di più ampie operazioni di propaganda, spesso utilizzando e coinvolgendo nomi di rilievo pubblico (in Italia, oltre ai citati Angela e Bianucci, figurano in lista i migliori nomi dell’establishment scientifico: Margherita Hack, Umberto Veronesi, Tullio Regge, Piergiorgio Odifreddi, Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia).

Malgrado i nomi esibiti, il CICAP non è noto per sponsorizzare la ricerca scientifica. La sua principale funzione sembra piuttosto quella di negare sempre, di opporsi agli approfondimenti scientifici, bloccando e screditando qualsiasi iniziativa che non risponda a criteri ortodossi, ufficiali. Non sono scettici, sono piuttosto demolitori organizzati. Conoscono già le risposte per cui non hanno bisogno di fare ricerca o investigare. Preferiscono operare per alimentare i tabù che con il ridicolo sbarrano la strada alla considerazione di argomenti evitati dagli ambienti scientifici ufficiali per mantenerli marginali. Sembrano ignorare che la ‘scienza ufficiale’ è solo una punta di iceberg nel mare della ricerca parcellizzata e semiclandestina dei laboratori privati di università, corporations ed enti ‘altri’, finanziati perlopiù dai budget ‘neri’ dei governi mondiali. C’è un’intera letteratura in proposito, solo a volerla considerare.

Che dire insomma di tutto questo? Per lo meno, che il CICAP sta in una compagnia piuttosto ambigua. Per Maverick, che è più scettico persino di loro, ogni altra riflessione comporta ipotesi MOLTO inquietanti.

Ricordare Pietro Bruno. Per una giustizia vera, non solo giudizi storici.

A Roma il 22 novembre 1975 Pietro Bruno, ragazzo del quartiere Garbatella, studente dell’Armellini e militante di Lotta Continua , cadeva colpito a morte da alcuni colpi di arma da fuoco sparati alle spalle da uomini delle forze dell’ordine durante una manifestazione a sostegno della guerra  del popolo angolano contro il colonialismo. Aveva 18 anni. La sua agonia durò un giorno e una notte. Morì il 23 di novembre.
Il primo proiettile che raggiunse Pietro alla schiena fu esploso dal carabiniere Pietro Colantuono. Il secondo colpo mentre era già a terra morente fu esploso dal poliziotto in borghese Romano Tammaro. I due furono inquisiti e prosciolti dal giudice istruttore Pasquale Lacanna perché – si legge nelle motivazioni dell’ ordinanza – “agirono in difesa dei superiori interessi dello Stato”.
Dov’è l’attualità?
Anche Pietro, come  la Masi, Giuliani, Sandri, Cucchi e tanti altri, non ha mai avuto giustizia, come le vittime di Piazza Fontana e di Brescia e di tutte le altre stragi e misfatti del Potere. Cucchi ha fatto la fine di Serantini, picchiato a morte in una cella da uomini in divisa già nel 1969. Le violenze del Potere sono sempre uguali.

Chi oggi, comprese le associazioni di vittime del terrorismo, chiede alla giustizia di accanirsi sui singoli rimasti in carcere o in regime di costrizione o  lamenta che l’Italia sia ancora divisa dagli eventi degli anni 70-80 non vuole capire che non potrà mai esserci riappacificazione e chiarezza senza la denuncia chiara delle responsabilità politiche, con il loro nome. Non basta dire ‘pezzi dello Stato’, è un modo per dire tutto e niente e salvare ipocritamente gli individui. Sarebbe ora di fare nomi e sigle: la Democrazia Cristiana, per esempio, che con Rumor, Leone, Andreotti, Moro, Cossiga ha pilotato la strategia della tensione, ha fatto uso dei fascisti del MSI, di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, ha supervisionato e diretto i depistaggi dei suoi Sifar, Sid, e via con le sigle, ha nutrito i Guida e i Calabresi che dalle Questure indirizzavano le indagini dove faceva comodo al potere politico e gestivano l’ordine pubblico in maniera tale da acuire sempre più lo scontro e costringere a scelte estreme una generazione sconfitta non migliorando la società ma manu militari. Fu Cossiga ad introdurre l’uso di agenti in borghese armati nei cortei per provocare disordini e poterli reprimere nel sangue (vi ricordano qualcosa i fantasmatici ‘black blocks’?), fu lui ad affiancare Segni nel progetto di golpe nel 1964 e, come documenta Sergio Flamigni nel suo libro Fantasmi del Passato, ad avere un ruolo oscuro da allora in ogni trama contro la Repubblica. Recentemente un Epifani è riuscito a definirlo ‘amico dei lavoratori’, e questo la dice lunga sulla natura di antiche amicizie e complicità… Altro che ‘Emerito’, altro che eroi della Patria, altro che Partiti della libertà! Ci sarà mai chi troverà il coraggio di parlare chiaro (magari prima che siano tutti morti e che ci sia il tempo di mandarne qualcuno in galera)? Il Paese vuole Giustizia vera, non solo giudizi storici. Solo allora si potrà parlare di riconciliazione.

Che comincino per esempio ad ottemperare all’appello pubblico diffuso in questi giorni per togliere il segreto da tutti gli archivi utili a trovare verità ancora celate. Non c’è niente di sovversivo: negli Usa è in vigore da almeno 10 anni il Freedom of Information Act (FOIA); ha parecchie limitazioni ma molte informazioni sono state ottenute anche dai singoli cittadini. Ci arriveremo mai o il nostro è un paese irrimediabilmente malato?

Sabato 27 Novembre 2010, alle ore 17,30 a Roma davanti all’ambasciata angolana verrà depositata una corona alla lapide dedicata a Pietro Bruno. A seguire a Roma XI, Festa d’inizio attività annuali della scuola popolare intestata al suo nome e incontro pubblico sul tema “Per un’ecologia dei luoghi della formazione”.

20 Novembre

La questione del presidio della Maddalena ha preso una piega  inaspettata con i sigilli apposti dai Carabinieri su richiesta del PM Ferrando. C’è un piccolo giallo al proposito: l’ordinanza è partita il 4 Novembre addirittura in anticipo di qualche giorno rispetto agli atti del Comune di Chiomonte. Quasi che la magistratura si sia mossa indipendentemente, su stimolo esterno; e per buon peso ha messo sul piatto anche cinque denunce . Un box nell’articolo della cronista di Repubblica riporta i nomi dei denunciati senza mancare di far notare che uno di loro, Stefano Milanesi, era stato condannato per fatti di terrorismo risalenti agli anni 70; una vigliaccata visto che Stefano ha saldato i suoi conti con la giustizia e da allora ha partecipato sempre alla luce del sole alle attività del Comitato No Tav di  Bussoleno. Accanto, le solite dichiarazioni forcaiole di Stefano Esposito (PD) che non perde occasione per mettersi in mostra tra i ‘primi della classe’ nel comitato d’affari che promuove la Tav. Gliene verrà riconosciuto merito? Anche perché insieme a lui, parlamentare con record di assenze in aula, truffatore del proprio elettorato e di tutti noi che lo stipendiamo, in questa faccenda si mette in evidenza il Sindaco di Chiomonte Renzo Pinard, pedina semplice sulla scacchiera dei grandi giochi e, volendo dirla tutta per par condicio, ex terrorista nero arrestato nel 1974 in Valle insieme ad altri due camerati per possesso di armi da guerra durante un presunto campo paramilitare. Se si andasse a cercare scheletri negli armadi delle due parti credo proprio che i signori pro-Tav offrirebbero molti riscontri. Sul fastidio provocatomi da quel box, mando una lettera a Repubblica già sapendo che non sarebbe stata pubblicata. E’ già successo altre volte: in un caso mi sono preso del cretino in risposta da uno dei redattori che poi ha scoperto che mi conosceva e , bontà sua, mi ha scritto  ‘non sei un cretino…’ ma senza scusarsi. Ma insomma,  di fronte a tali manovre il movimento sente di dover rispondere e convoca un assemblea popolare a Chiomonte per il sabato mattina.

Sabato 20 è grigio e piovoso. A guardarlo dalla finestra non viene voglia di uscire al mattino presto ma mentre viaggio in auto la Valle offre uno spettacolo che rimette in pace con se stessi e con l’orologio: le nuvole basse, a mezza costa, fanno risaltare i colori autunnali e danno al paesaggio un tocco quasi magico: penso ad Avalon e a tutte le leggende di gnomi, fate e creature misteriose che popolano i racconti millenari della Valle. Un vecchio amico tecnico e creatore di effetti speciali per il cinema, affascinato dalla Valsusa, dalla Sacra di S. Michele e da tutte le storie locali, aveva presentato anni fa in Regione un progetto per un Parco Magico da allestire in Valle. Lui avrebbe curato la realizzazione di folletti, streghe e esseri vari animati da piazzare lungo un itinerario in mezzo al verde, tra rupi e boscaglia. Avrebbe dato lavoro a qualche decina di persone. Inutile dire che il progetto non è mai andato in porto per mancanza di agganci ‘politici’ in Regione rossa.

Non fa freddo, ci sono 5° ma la pioggia, pur non a scroscio, è fastidiosa. Quando arrivo nella piazzetta del paesino, ancora molto medievale e ben curato, ci sono circa duecento persone sotto gli ombrelli che discutono le varie proposte. Una è di ‘sequestrare’ l’area sequestrata piazzandole intorno un recinto, magari in filo spinato; l’altra è di scatenare i tecnici del movimento ad esaminare i condominii del Pian del Frais, frazione sciistica di Chiomonte, per vedere se tutto è in regola con permessi e normative (e qui Pinard, se stava ad ascoltare, potrebbe avere sentito qualche brivido per la schiena). La terza è naturalmente quella di andare, rompere i sigilli e riprendere simbolicamente i lavori. Non tutti sono d’accordo su quest’ultima per il rischio di altre denunce che in questa fase sono come i cartellini gialli nel calcio: ti inibiscono i movimenti futuri. Tutti comunque sono naturalmente per andare sul luogo. I carabinieri sono solo quelli locali, ci sono quattro Digos, facce già viste sotto i cappucci di lana. Si può fare. Si parte tutti in auto per La Maddalena, giù e poi su dal vallone. Alcuni, più allenati, vanno a piedi e sono velocissimi. Si raggiunge il presidio e, come prevedibile, un gruppo fa allontanare i giornalisti e poi rompe i sigilli e mette in moto la bettoniera, provocando qualche mugugno. Ci accorgiamo che i nostri ‘angeli custodi’ ci stanno filmando dall’alto del viadotto autostradale. Nei filmati vedranno poche facce, seminascoste da ombrelli e berretti, e tante dita e braccia levate ad ombrello. Si rimane fino alle 12, poi si sgombra. L’atto dimostrativo è fatto; purtroppo costerà qualche altra denuncia ma la gente è arrabbiata e non si fa fermare. Approfitto dell’occasione per informarmi sui sentieri che potranno portarci fin lì ma tutto dipenderà da dove chiuderanno l’area. Sicuramente sarà dura per tutti, buoni e cattivi, quando verrà il momento.