Insopportabili ipocrisie

Il Quinto Potere, i no vax, l’Afghanistan

Lo so, ne abbiamo ormai viste e sentite tante che non ci stupiamo più. Però abbiamo ancora la forza di indignarci per l’efficace banalità del potere, soprattutto di quello mediatico. Banale perché le sue linee di comportamento, le sue reazioni agli eventi della società e del mondo sono sempre uguali. Talmente uguali che ci sembra impossibile che l’opinione pubblica, la gente, il popolo, il pubblico o come vogliamo chiamare questa massa polimorfa di sudditi. non abbia imparato. Efficace perchè, appunto, non ha ancora imparato e si fa manipolare da un’informazione che è sempre più sfacciatamente “braccio armato” del potere, dei governi, che trincera la propria malafede dietro il totem di una libertà dell’informazione di cui abusano in permanenza, manipolandola senza scrupoli.

Facciamo due esempi attuali? Non c’è bisogno di essere no vax o no pass per deprecare la campagna che si sta montando contro quei cittadini, uno dei quali ha osato dare due pugni a uno di quegli insopportabili cacciatori di dichiarazioni per strada, quelli che si ammucchiano intorno ai politici per strappare loro qualche telegramma di cazzate. Due pugni bastano per farsi dare dei terroristi, per sguinzagliare perquisizioni che trovano non ben specificate armi, si badi bene, improprie, per suscitare alti lai sulla violenza, che è sempre “intollerabile” quando non esercitata a piene mani (vedi Val Susa) dalle forze dell’ordine o a mezzo stampa tramite tutti i sotterfugi del mestiere (v. titoli diversi dal contenuto degli articoli, veline a senso unico, bugie “a grappolo” come le bombe, trattamento diverso e interruzioni a seconda degli ospiti nei talk show, ecc.). Imparino a chiedere e pubblicare i comunicati dei vari movimenti, invece di chiedere opinioni dei singoli, quasi sempre male espresse per l’immediatezza dell’intervista o per limiti espressivi.

Altro esempio, ancora più paradossale, è l’Afghanistan. Da quando siamo scappati vergognosamente al seguito, come sempre, degli americani, tutta l’informazione occidentale è concentrata nell’attaccare quotidianamente tutto quello che non ci piace dei talebani o su ogni minimo presunto difetto o ritardo nella riorganizzazione di quel paese, persino sul traffico a Kabul o sui tempi di formazione del governo (proprio noi!). Seminiamo disinformazione dicendo che i talebani soffocano la vita del paese mentre ci mostrano strade di Kabul e mercati con la gente che passeggia tranquillamente e va per gli affari suoi; che il dissenso monta ma, che strano!, la guerra l’hanno vinta perchè la popolazione li ha sempre sostenuti; che l’ordine è imposto con la violenza ma ci mostrano qualche staffilettata che non regge il confronto con le botte e i lacrimogeni in faccia dei nostri Reparti Mobili.  Ammoniamo, diffidiamo, minacciamo perchè non sono e non pensano come noi. Ci indigniamo che facciano fuori un po’ di collaborazionisti  dell’invasore straniero: cose che capitano a chi ha combattuto con un esercito fantoccio per un governo fantoccio. Cose che sono capitate anche da noi per analoghe comprensibili ragioni nel 1945.

Una bella faccia tosta, dopo una guerra imposta per vent’anni che ha fatto decine di migliaia di vittime civili (v. cifre di Emergency), una guerra coloniale per “importare la democrazia” ed esportare materie prime i cui presupposti antiterroristici si sono smentiti, o per lo meno formalmente esauriti, nel momento dell’eliminazione (in paese terzo) di Bin Laden, dieci anni fa. Per non contare le tante cose poco chiare nella stessa genesi di quella guerra, e nelle responsabilità dei neocons sull’11 settembre che solo oggi cominciano a emergere dalla fuffa che tutti i media ci hanno da allora propinato. Ci tocca sopportare anche le lezioni sulla “guerra sbagliata” da chi allora era in prima fila a invocarla.

Vogliamo capire che abbiamo perso quella guerra ventennale e che ora i vincitori hanno tutto il diritto di farsi lo Stato che vogliono, il governo che vogliono, con la loro sharia, le loro regole e le loro leggi? Che da loro non accettiamo ma da altri che ci servono si, vedi un’ Arabia Saudita, stato feudale a regime confessionale che fa i giornalisti antipatici a pezzi in ambasciata, che taglia le mani ai ladri e la testa agli oppositori, che regola con la sharia tutta la vita civile e la vita delle donne (a quelle donne non teniamo da farci su una campagna mediatica?); o vedi anche un Israele, che fa collezione di risoluzioni Onu sul regime di apartheid, sull’occupazione illegale dei territori palestinesi, sugli omicidi mirati degli stessi, minori e handicappati compresi, sulle restrizioni alle donne ortodosse dettate dalla legge religiosa; per non parlare di Egitto, Turchia…

La verità è che l’Occidente non è meglio di tanti altri in quanto a classi politiche e sistema mediatico impositivo, conformista e servo di quelle classi politiche e dei vari gruppi di potere. E in progressivo peggioramento in quanto ad autoritarismo, erosione degli spazi democratici, controllo di massa invasivo.

Vale la pena ricordare la legge costante della storia posta in particolare evidenza dal Tocqueville, storico dell’Ancien régime e della rivoluzione francese (quella che i popoli arabi non hanno mai fatto) laddove sostiene che la causa determinante che ha fatto perdere agli uomini il potere è stata sempre che essi erano diventati indegni di esercitarlo per la loro inefficienza, il loro egoismo, i loro vizi. (F.S. 9.9.2021)

Disclosure. Il rapporto Usa: conferme e premesse per una svolta culturale epocale

Il tanto atteso documento è solo “una premessa”. Quello vero è secretato. Ma c’è già una clamorosa  fuga di notizie. Le prese di posizione. Dall’Italia? Silenzio.

Preceduta di un mese da un ennesimo filmato confermato dal Pentagono di incontri ravvicinati della Navy al largo della costa occidentale con “uno stuolo” di nove oggetti individuati dai radar che sembrano convergere sulla flotta da varie direzioni e poi si esibiscono nel solito gioco appari/scompari per tempi prolungati (https://www.youtube.com/watch?v=rh4QngYJG4I ), è puntualmente arrivata in data prevista, il 25 giugno, la parte pubblica del rapporto della Task Force del Pentagono (UAPTF – gli americani adorano gli acronimi) sul fenomeno Ufo, o Uap come i militari lo vogliono definire, diramato dal Direttore della National Intelligence (DNI) per “un numero selezionato di esponenti politici” e per i membri della Commissione Intelligence del Senato.

Diciamo subito che diversi osservatori e ricercatori si sono detti insoddisfatti rispetto alle aspettative ma altri, a una attenta disamina, hanno fatto rilevare che alcune novità interessanti ci sono, tali da poter dire che un passo avanti c’è stato. Vediamo anche noi nel dettaglio.

1. Innanzitutto la composizione: il documento è poco più lungo di un compito d’esame di terza media. Consta di 9 pagine di cui una di copertina e due di appendici, quindi sei pagine effettive, e mantiene quello che il titolo esprime: si tratta di una “dichiarazione preliminare” al vero documento che è secretato e risulta essere di 23 pagine. Niente di più quindi che un riassunto del lavoro fatto e delle conclusioni che sono le seguenti:

2. Dei 144 casi presi in esame nel periodo 2004-2021, solo 1 è stato spiegato come pallone sonda fluttuante. Gli altri 143, ricavati da ogni tipo di sensore (radar, infrarossi, elettro-ottici, individuatori d’arma, osservazione visiva, radiofrequenze, ecc.) sono definiti come “solidi oggetti fisici”, con “caratteristiche di volo inusuali“, proprie di tecnologia avanzata. e un “grado di specifica gestione intelligente”

3. In 80 casi la loro attività ha interrotto o disturbato esercitazioni militari e ha causato 11 rischi di collisione

4. I dati testimoniali provengono da rapporti di piloti militari o da “sistemi considerati affidabili”

5. Sono stati verificati diversi tipi di Uap che richiedono diverse spiegazioni. Non ci sono prove comunque che possano essere attribuiti a “entità americane”, cioè a programmi segreti del governo o di “altri soggetti”, nè a tecnologie dispiegate di “Russia, Cina, altra nazione o entità non governative”.L’ipotesi extraterrestre “non è esclusa“.

In sostanza, gli Ufo non sono “nostri”. Sono oggetti reali, intelligenti ma non si sa cosa siano se non un genuino fenomeno misterioso in mancanza di ulteriori dati. La loro presenza minaccia la sicurezza nazionale perchè sono capaci di violare lo spazio aereo e di interferire con attività e siti militari senza poter essere intercettati o colpiti.

A buon conto, vengono richiesti fondi addizionali per il proseguo del lavoro della Task Force. Tutto il mondo è paese…

Piuttosto interessante il commento “a latere” che denuncia la difficoltà di raccogliere i dati a causa  di “stigma culturali” presso la comunità scientifica” e a causa dei “rischi per la reputazione” che i soggetti temono. Cioè quegli stigma introdotti con il Rapporto Grudge (1949) (1) e con il Robertson Panel (1952) che nel suo rapporto finale invitava ad affidare il compito di “smontare (debunk) l’interesse per i ‘dischi volanti’ dei mass media come tv, film e scritti popolari“, o con  il Rapporto Condon (1969) che raccomandava che “gli editori o i docenti colpevoli (di diffondere le teorie sugli Ufo) dovrebbero essere pubblicamente puniti e banditi definitivamente dalle loro attività“.

Importante la citazione  di “programmi segreti” oltre a quelli governativi o di “altri soggetti” perchè implica che ne esistano e che possano essere fuori dal controllo istituzionale.

Le implicazioni di queste minime informazioni sono importanti. Ci confermano che il fenomeno è finalmente riconosciuto, che è finita l’era delle coperture e delle menzogne iniziata nel 1947 con Roswell e quindi anche quella degli “scettici” mercenari o meno che hanno sempre negato tutto in ossequio alle disposizioni delle autorità militari e di intelligence.

Poi ci sono le contraddizioni derivanti dal lungo cover up, dal vuoto informativo e dalle numerose fughe di notizie succedutesi nel tempo sul tema del coinvolgimento degli apparati nella ricerca su relitti ufologici. Per esempio, le ormai note dichiarazioni pubbliche del direttore della Sunkworks, branch della Boeing per i programmi aerospaziali segreti, Ben Rich, che nel 1993 disse”Tutto quello che potete immaginare possiamo farlo. Ora possiamo riportare ET a casa” (https://mavericknews.wordpress.com/2019/02/25/politica-e-x-files-il-progresso-negato/#more-1608 ) ;  o la altrettanto nota intervista del 2002 dell’Amm. Thomas Wilson nella sua veste di Direttore delle intelligence militari su un suo incontro con rappresentanti di un programma segreto finanziato con fondi neri e gestito da privati per conto di una corporation dell’aerospaziale, che lavoravano su un relitto recuperato “non fatto da mani umane” (https://mavericknews.wordpress.com/2019/08/11/ufo-e-segretezza-clamorose-conferme-nelle-carte-dellammiraglio-thomas-wilson/ ) per capirne la tecnologia, e che confessavano, chissà se veritieri, di non averci ancora capito gran che; e più recentemente con l’annuncio nel settembre 2019 del contratto tra Esercito e la privata Bigelow Airspace per lo studio di campioni di materiali “recuperati” dagli Ufo.

Ma quando si scopre il Vaso di Pandora, sappiamo che può uscire di tutto. Infatti, poteva mancare una prima fuga di notizie? Proviene da Richard Dolan, uno dei ricercatori più seri e rigorosi nella comunità ufologica, ed è dei giorni scorsi: una sua fonte “molto affidabile” gli ha passato una nota con la sintesi di un estratto dalla parte secretata del rapporto, decisamente sorprendente, che trovate qui https://www.youtube.com/watch?v=oJNbCeE110A&t=1349s al minuto 19.

Come si vede, vi si elencano progetti segretissimi sorprendenti in opera presso l’Area 51 riguardanti forme di propulsione straordinariamente avanzate tra cui: antigravità, antimateria, compressione nucleare, pulsione di energia, una (la n. 8) assolutamente indecifrabile. Ma guardate al punto 7: si parla di ” Uso avanzato di elementi esotici per ricerca energetica” e tra parentesi: “riferita a ET“. “Questi progetti – continua il documento – sono sotto il controllo dell’agenzia della Difesa DARPA  e gestite da un misterioso “gruppo segreto denominato Advance Group 6″-  e prosegue: “Tutti i fondi per questi progetti sono confidenziali e in nero, appropriati come costi di operazioni di intelligence. Alcuni fondi provengono da appaltatori privati. Prototipi di velivoli che utilizzano le tecnologie di cui sopra sono testati  all’Area 51 e alla base aeronautica del Tonopah Test Range. Alcuni Uap visti volare nel Nevada possono essere attribuiti a velivoli dotati delle propulsioni di cui sopra. Comunque nessuno di quei velivoli sperimentali hanno volato fuori dal perimetro del Nellis Test Range. Nessuno di tali velivoli può essere attribuito agli avvistamenti fotografati dalla Marina“. Se questo è solo una sintesi di una porzione del rapporto secretato, c’è da chiedersi quali altre rivelazioni potrebbero sortire da quelle 23 pagine negate al pubblico. In quelle poche righe c’è dispiegato tutto quello che i ricercatori hanno affermato nei decenni passati: i programmi segreti finanziati in nero, uno dei quali “collegato a ET” (sta per “extraterrestre”?); che la gestione di tali progetti è finanziata in nero ed è mista pubblico-privato; che esiste un gruppo segreto la cui denominazione è molto simile a quel “Majestic 12” a cui si attribuiva la gestione del “problema” Ufo già durante la presidenza Truman, composto allora da politici e scienziati e di cui si sospettava la progressiva trasformazione in entità mista pubblico-privata: cioè la cupola di controllo del cover up mondiale i cui interessi si collegano con quelli della comunità che presiede alla sicurezza nazionale. E in ogni caso, si scrive, “quei prototipi NON sono quelli documentati dalla Marina”.

L’appuntamento è alla prossima fuga di notizie, perchè uno dei vantaggi di un pur stringato documento pubblico è quello di rappresentare un ulteriore passo in avanti della disclosure ed un altro è quello di incoraggiare altre soffiate. E’ sempre più evidente che è in atto nella comunità che gestisce il segreto uno scontro di fazioni: una che frena e una che ritiene più utile far sapere, gradatamente e prudentemente. Intanto, per tutti, è giunta l’ora di un cambio di paradigma culturale: siamo entrati in una nuova fase in cui pensare al fenomeno Ufo come un aspetto della realtà che viviamo, con tutte le implicazioni che questo comporta, diventa importante. Gli effetti sono già palesi: “Improvvisamente senatori e scienziati, il Pentagono e presidenti, ex Direttori Cia e esponenti della Nasa, Executives di Wall Street e investitori della Silicon Valley – scrive Alex Seitz- Wald su Nbc News – hanno cominciato a parlare apertamente di un argomento di cui si poteva solo sussurrare. L’omertà (usa proprio questo termine) è stata spezzata grazie a una nuova generazione di attivisti professioanli che hanno offerto evidenze più persuasive, alcuni alleati nel governo e la mancanza di altrettanto persuasive giustificazioni della sicurezza nazionale per mantenere il silenzio la qual cosa non è riuscita a contenere l’interesse per gli Ufo”.

E in Italia? Poco o niente dai media: qualche articoletto sepolto in pagine interne e con poca evidenza, uno stringato comunicato stampa del Centro Ufologicio Nazionale (Cun) che invita il parlamento a tenere conto della novità ma non sembra morire dalla voglia di farne argomento di pressione, nessuna reazione di una politica che punta più che mai al quieto vivere, a evitare questioni disturbanti forse anche per gli scheletri nei suoi armadi. Chissà cosa ci aspetta… (F.S. 18/7/2021)

NOTA (1) Finanziato dalla Ohio State University,, dal Air Weather Service,, dal Us Weather Bureau e dalla privata Rand Corporation), il rapporto concludeva che “Ogni evidenza e ogni analisi nei rapporti di oggetti volanti non identificati sono risultato di: 1.Errore di giudizio…2. Forme moderate di isteria di massa 3. Individui che con le loro testimonianze perseguono inganni o cercano pubblicità.  4. persone psicopatiche.”

Disclosure. Attesa per il rapporto dell’intelligence Usa sul fenomeno Ufo

Il rapporto richiesto a dicembre dalla Commissione Intelligence del Senato è annunciato per il 25 giugno. Cosa c’è da aspettarsi? Cosa potrebbe rivelare e cosa non rivelerà? Quello che è certo è che si parte da una buona base di informazioni confermate.

Questa volta ne parlano anche i Tg nostrani. Per il 25 giugno è annunciata la consegna da parte del Direttore di tutte le agenzie di intelligence  (DNI) alla Commissione Intelligence del Senato che l’ha commissionato a dicembre scorso, il rapporto sul fenomeno Ufo (o Uap come lo si vuole definire oggi – Unidentified Aerial Phoenomena) cha dal dicembre 2017 è stato oggetto di ripetute rivelazioni e conferme (https://mavericknews.wordpress.com/2020/07/01/disclosure-il-senato-usa-richiede-alla-comunita-dellintelligence-un-rapporto-sulle-attivita-ufo/#more-1869).

Cosa ci possiamo aspettare da quel rapporto? Il parere piuttosto concorde dei ricercatori e degli opinionisti è che dovranno dire qualcosa di più di quello che in questi ultimi anni hanno già detto, cioè che gli oggetti monitorati in occasioni multiple dai radar e dai piloti militari hanno caratteristiche tecniche talmente avanzate da non essere riconosciuti come “nostri”, che insomma non si sa cosa siano se non che hanno caratteristiche intelligenti perchè reagiscono agli avvicinamenti e ai puntatori d’arma in modo logico. Quindi che non sono fenomeni naturali.  Sappiamo che l’indagine è partita perchè il fenomeno è stato ritenuto una minaccia alla sicurezza nazionale, non tanto per attività ostili manifeste (solo in casi rari), ma perchè, per la mentalità militare, non sono identificabili e perchè scorrazzano liberamente nello spazio aereo nazionale e intorno alle flotte della Navy senza possibilità di essere intercettati e allontanati.

Già è stato detto e ripetuto, per soddisfare i più scettici e “per non allarmare l’opinione pubblica“, che “potrebbero” essere droni o progetti segreti di competitors globali come Russia e Cina, e che non è detto che siano “alieni” e/o extraterrestri. Ma le argomentazioni di risposta sono convincenti. Dicono che: 1. Essendo gli Usa la potenza tecno-militare mondiale per eccellenza è molto improbabile che Cina e Russia, in segreto, possano essere più avanti di decenni o di secoli, a giudicare dalle performance degli oggetti, tanto più che il fenomeno, come si sa, è attivo, da almeno settanta anni (ricordiamo i cosiddetti Foo Fighters che seguivano gli aerei alleati nell’ultima fase della guerra mondiale) con le stesse caratteristiche; 

2. Qualsiasi intelligenza che abbia conoscenze cosi avanzate da sviluppare una tecnologia cosi superiore alla “nostra”, non può che  essere “altra”.  Cosa si possa intendere per “altra” è tutto da valutare.

Ragionamenti che non possono essere ignorati.

Quindi cosa potrà essere quel qualcosa di più?

Potranno dare vaghe indicazioni o ipotesi sulla natura degli “Altri”? Forse ma a quel punto non potranno evitare pressioni immani per saperne di più: chi sono, sono buoni o cattivi, cosa vogliono, cosa ci fanno qui? E prima o poi sarebbero costretti a dire di più perchè il mondo vorrà sapere.

Potrebbero dire – autospiandosi – che sono progetti segreti americani destabilizzando cosi gli equilibri strategici internazionali? E’ da escludere, perchè in tal caso dovrebbero dire chi li gestisce e perchè tutti gli apparati di potere (politico, industriale, mediatico) hanno mentito per decenni al popolo americano e al mondo intero negando il fenomeno. Dovrebbero dire quali interessi ci stanno dietro e con quali risorse, sottratte al bene comune, la ricerca sia stata finanziata. Dovrebbero dire quali livelli di conoscenza, quali traguardi scientifici siano stati raggiunti e perchè quelle tecnologie non siano state anche utilizzate a scopi diversi da quelli militari, magari per migliorare la qualità della vita dell’umanità e della Terra. Dovrebbero dire con quali complicità nel mondo siano stati nascosti eventi collegati al fenomeno ma rimasti inspiegati. Dovrebbero dire perchè con quella tecnologia a disposizione, si è continuato a dipendere dai carburanti fossili. E chissà cosa altro. Quindi tutto questo non verrà detto ma qualcosa di tutto questo potrà essere compreso in quella parte secretata già prevista nella richiesta del Senato.

L’opinione corrente tra i ricercatori è che una completa rivelazione non ci potrà essere finchè non si saprà quale cupola politico-industriale-militare-finanziaria abbia gestito tutto quanto detto sopra e quali reperti siano in possesso di qualche entità pubblica o privata e quali sono già oggi in corso di studio da parte dell’esercito (come annunciato il 19 ottobre 2019).

Dovranno comunque dire qualcosa di più. Nel frattempo i segnali di attesa o di preparazione ci sono: ne parlano giornali e tabloid americani, ne parlano persino i nostri (Repubblica del 21 maggio, Tg7 e Tg3 del 2 e del 4 giugno), ne ha parlato uno stralunato Obama al The Late Show della Cbs, un programma visto da milioni di americani, un Obama che intervistato da presidente disse “Non ne posso parlare“. Ora dice: “Esistono video e immagini in cui compaiono oggetti volanti, che non sappiamo esattamente cosa siano. Non siamo in grado di spiegarne il comportamento in volo, come facciano a volare in quel modo o a seguire quelle traiettorie“; e il Pentagono fa uscire un ennesimo filmato clamoroso ripreso il 15 luglio 2019 dalla Uss Omaha di un oggetto detto “transmediale”, ovvero intercettato in due elementi perchè dal cielo si tuffa nell’oceano (https://www.youtube.com/watch?v=RIxHe9955oQ ). Diciamocelo: se Cina o Russia hanno cose del genere possiamo cedere loro le nostre chiavi di casa.(F.S. 4.6.2021)

Sullo stesso argomento:

https://mavericknews.wordpress.com/2019/12/26/sensazionale-washington-post-gli-ufo-esistono-tutti-dobbiamo-adattarci-a-questa-realta/

Alabama

Alessandro Barbero, Sellerio 2021, pag.262, € 15

Per scrivere questo divertissement, il mio storico italiano preferito deve essersi imbattuto su youtube in quello straordinario documento filmato che è l’intervista all’ultimo veterano confederato Julius Franklin Howell (1846-1948) che combattè la guerra civile nel 24th Cavalleria della Virginia dall’età di 17 anni. Non è lui quello che ci guarda dalla copertina ma gli somiglia molto e a lui Barbero deve essersi ispirato. Perchè oso definire questo libretto un divertissement?  Perchè, per una volta, Barbero abbandona l’accuratezza storica per far raccontare al suo vecchio protagonista, intervistato da una giovane giornalista, le sue peripezie da soldato senza badare troppo alla cronologia e ai riferimenti di luogo o di persone, e adottando lo stile narrativo ad imitazione della presunta colloquialità del soggetto narrante in prima persona, con un phrasing quasi irrefrenabile, senza discontinuità sintattica, un po’ alla Nanni Balestrini del Vogliamo Tutto. Una volta abituaticisi, è però tutto molto più gradevole e realistico del suddetto Balestrini soprattutto perchè Barbero riesce a ricreare l’ambiente culturale originario del tipico bianco povero sudista, legato totalmente al suo ambiente rurale di provenienza, alla sua filosofia cavalleresca da uomo semplice, alla spiritualità delle chiese e dei predicatori evangelici dei grandi revival religiosi del suo tempo, al razzismo paternalistico dominante per cui lo schiavo è “proprietà” da tutelare, è “inferiore” perchè lo dice la Bibbia, è una forza lavoro ma allo stesso tempo una presenza famigliare, una persona da proteggere e da sfamare decentemente. Se poi è donna, non è escluso che possa sostituire una moglie defunta o che possa essere richiamo di una sensualità peccaminosa per scappatelle proibite tanto quanto qualche giovane contadinella bianca del vicinato. Il protagonista narrante, veterano Dick Stanton di un’unità di fanteria dell’Alabama sul fronte della Virginia, ha solo un paio di schiavi che in tempo di pace lo aiutano a lavorare nei campi, e ci fa capire le ragioni per cui sente l’invasione degli odiati yankee come un’aggressione alla sua way of life da parte di un popolo profondamente “diverso” culturalmente, più ricco, avido, perfido mercenario ostaggio dei pochi abolizionisti “che se verranno qui si porteranno via i nostri negri“. Capiamo da Stanton che arruolarsi, per il bianco povero del sud, significava difendere la casa e la famiglia oltre che affermare l’orgoglio di appartenenza  alla propria terra, al proprio Stato, affermare l’onore e la libertà di decidere per se stessi senza l’imposizione di un governo centrale che non ci rappresenta più, quindi autoritario se si vuole imporre (se vi ricorda qualcosa dell’attualità ci azzeccate…).

Ma non temete che ci sia troppa filosofia in Dick Stanton, in realtà si diverte molto a raccontare la vita militare nel suo reparto, le storie dei suoi amici e vicini in tempo di pace che si ritrovano con lui nei ranghi, le litigate e le scazzottate, le battaglie di palle di neve (con i sassi dentro) contro i presuntuosi texani, gli scherzi per tenere sù il morale durante le marce, come quello esilarante originato dal commilitone che sfilando accanto a un’unità di artiglieri in cui riconosce un vecchio amico, gli grida “Ehi Jim, come va?“, saluto che viene immediatamente ripreso da altri nei ranghi che sopraggiungono e per tutta la lunghezza della colonna, per l’imbarazzo del povero Jim che si sente sfottuto a ripetizione.  Dicevo della cronologia confusa perchè si sovrappongono tempi, nomi e luoghi senza riguardo per l’accuratezza storica (Jackson che compare ancora vivo nella campagna finale di Appomattox, le battaglie citate un po’ a casaccio) ma anche nomi e luoghi che ai profani della storia della guerra civile non diranno niente, sovrapposizioni di situazioni vere ma distinte nella realtà storica. E’ plausibile il sospetto che l’autore abbia volontariamente apposto confusioni nel racconto di Stanton per rappresentare la memoria confusa di un anziano.

Non manca, diciamolo, la strizzatina d’occhio furbetta al politicamente corretto, per l’episodio finale dell’esecuzione a freddo dei prigionieri negri colti a imbracciare un fucile in battaglia con gli yankee: “Non ce l’avevamo con loro ma quando gli hanno dato un fucile in mano, be’ è diventata un’altra faccenda…non gli bastava al vecchio Abe Lincoln, là dalla sua poltrona a Washington, di mandarci contro i suoi briganti e mercenari assassini e la schiuma della terra ma anche i negri doveva mandarci…non ci abbiamo visto più…”. Un episodio di fiction che prende spunto da fatti avvenuti realmente ma in circostanze diverse e da ambo le parti, probabilmente il massacro di Fort Pillow dove i neri erano in uniforme o quello dei prigionieri di guerra sudisti in Nord Carolina sul finire della guerra ad  opera di un reparto misto, yankee bianchi e neri. Una licenza letteraria che a uno come Barbero, per i suoi molti meriti, possiamo di buon grado perdonare perchè inserita in un contesto di tensione che doveva avere uno sbocco.

Se dunque cercate un’accurata ambientazione dal punto di vista del soldato semplice che fece e subi quella terribile guerra, Alabama è per voi. Potrà anche esservi di introduzione e stimolo per andare a leggere di vera storia della guerra civile americana. In quel caso però, Barbero mi perdoni, mi orienterei sulle opere di Raimondo Luraghi.(F.S. 7.5.2021).

Maverick Survival Series

Musiche pubblicate durante il lockdown per tenere sù cuori e morale.

Musiche per il lockdown

Series # 1 – God moves the pen – Tim McGraw

In uscita in questi giorni, la nuova canzone della supestrar del country che celebra la potenza meravigliosa dello scrivere, in ogni sua forma.

Series # 2. Sarà Sara – Bruno Marro

Tra Gazzè e anni 60. “Sara sarà”  una canzone di Bruno Marro, cantautore torinese, per chi sceglie la melodia piuttosto che il ritmo. Un ritornello killer, suoni di chitarra vintage, ma è tutto attuale, compreso il richiamo al “Ricominciare”: 

Series #3. Accidental racist – Brad Paisley feat. LL Cool J

Una commovente semplificazione dell’incomprensione razziale reciproca, a partire dal modo di vestirsi, nell’interpretazione di due superstar: Brad Paisley e il rapper LL Cool J.La canzone, pubblicata nel 2013 nell’album di Paisley “Wheelhouse“, suscitò molta discussione perchè accennava per una prima volta  alla contraddizione tra orgoglio e senso di colpa del Sud. Per chi non è familiare con certi riferimenti, la “red flag” è la bandiera confederata, gli “Skynyrd” sono i Lynyrd Skynyrd, leggendaria band di rock sudista, “Mason-Dixon” è la linea geografica immaginaria che storicamente segna la divisione tra Nord e Sud. Altri riferimenti storici sono la devastante marcia di Sherman attraverso la Georgia, Lincoln e Robert E. Lee, generale comandante dellArmata della Virginia.Musica per pensare.

Series # 4 – Fischia il vento – Raffaele Kohler Swing Band

Basta con Bella Ciao che ormai la cantano anche le suore! Propongo questa nuova versione con nuovo arrangiamento di Fischia il Vento che scaccia i brutti pensieri dal lockdown e dai tempi bui  che stiamo vivendo. Sono i lombardi Raffaele Kohler Swing Band dall’album  Una sera in balera. Buon 25 aprile a tutti!

Survival Series # 5- Deportee (Plane Wreck at Los Gatos)

Per il Primo Maggio, Maverick offre una canzone di Woody Guthrie, proposta da Johnny Cash e Johnny Rodriguez. Più che mai attuale, visto cosa succede oggi con i migranti. E’ la storia di un incidente aereo in cui morirono tutti i passeggeri, braccianti messicani che dopo la stagione di lavoro vengono riportati oltreconfine: Non hanno nome e””li chiameranno solo deportati“. Ne sono state fatte mille versioni ma questa mi sembra tra le più suggestive.

Testo e Storia della canzone (grazie a Marco L.) Questo testo originale ha subito variazioni nel tempo e a seconda dell’interprete.

DEPORTEES
(Plane Wreck at Los Gatos)
Words by Woody Guthrie, music by Martin Hoffman

The crops are all in and the peaches are rotting
The oranges are packed in the creosote dumps
They’re flying you back to the Mexico border
To pay all your money to wade back again

Goodbye to my Juan, goodbye Rosalita
Adios mis amigos, Jesus y Maria
You won’t have a name when you ride the big airplane
All they will call you will be deportees

My father’s own father, he waded that river
They took all the money he made in his life
My brothers and sisters come working the fruit trees
They rode the big trucks till they lay down and die

Goodbye to my Juan, goodbye Rosalita
…………………………………………………………………….

The skyplane caught fire over Los Gatos Canyon
A fireball of lightning, and it shook all the hills
Who are these comrades that died like the dry leaves
The radio tells me they’re just deportees

Goodbye to my Juan, goodbye Rosalita

……………………………………………………………………

We died in your hills and we died in your deserts
We died in your valleys we died on your plains
We died ‘neath your trees and we died in your bushes
Both sides of the river we died just the same

Goodbye to my Juan, goodbye Rosalita
…………………………………………………………………..

Some of us are illegal, and others not wanted
Our work contract’s out and we have to move on
But it’s six hundred miles to that Mexican border
They chase us like outlaws, like rustlers, like thieves.

Goodbye to my Juan, goodbye Rosalita
…………………………………………………………………….

Is this the best way we can grow our big orchards
Is this the best way we can grow our good fruit
To fall like dry leaves and rot on the top soil
And be called by no name except “deportee”

Goodbye to my Juan, goodbye Rosalita
……………………………………………………………………..

«Il raccolto è finito e le pesche stanno marcendo… li stanno riportando in aereo oltre il confine col Messico / E pagheranno gli stessi soldi per attraversare ancora una volta quel fiume. / Il padre di mio padre anche lui ha attraversato quel fiume / e gli hanno preso tutti i soldi guadagnati in una vita / I miei fratelli le mie sorelle sono venuti anche loro a raccogliere la frutta / Viaggiavano su quei camion finché non ce l’hanno più fatta e sono morti».

È una canzone che quest’anno compie 70 anni, dal lungo titolo “Plane wreck at Los Gatos”, più nota come “Deportee”, ma sembra scritta ora. Potrebbe farci venire in mente i braccianti che dal Nord al Sud dell’Italia o in altre regioni del mondo lavorano nei campi per pochi euro all’ora per tante ore del giorno. Sottopagati, con la schiena ricurva, d’estate al caldo torrido e sotto il sole. Sfruttati, senza nessun tipo di tutela e costretti a vivere in condizioni disumane.

Fanno venire i brividi quelle parole che rendono con una intensità drammatica la disperazione di persone disposte ad attraversare un fiume, il Rio Grande, nel caso specifico pur di conquistare la libertà e una vita migliore, la disperazione di persone che viaggiare su un camion e vi trovano la morte. Cose di quel tempo. Cose dei nostri giorni.

Woody Guthrie, il famoso folksinger dell’Oklahoma che ha ispirato tanti artisti, scrisse “Deportee” nel 1948 dopo aver letto la notizia di un incidente aereo sul canyon di Los Gatos, in California, dove il velivolo precipitò, in cui persero la vita 32 lavoratori stagionali che stavano per essere rimpatriati in Messico. Era un omaggio a quei poveri violati nella loro dignità, un testo rimasto senza musica per anni, fino a quando un maestro di scuola, Martin Hoffman, compose una melodia e Pete Seeger – altro folksinger autore di celebri brani – iniziò a cantarla nei suoi concerti. E poi si aggiunsero altri, da Dylan a Joan Baez, da cui l’abbiamo riascoltata nel suo concerto del tour d’addio a Roma, nell’agosto scorso.

«Addio mio Juan, addio Rosalita / Addio amici miei e Gesù e Maria / Non avrete più un nome quando salirete su quell’aereo / Vi chiameranno semplicemente così: “Deportee”». Su quell’aereo Juan e Rosalita, e tutti gli altri con loro, diventano “cose”, nessuno li chiama più per nome:”La radio ha detto che erano solo Deportati”. C’è in “Deportee” una denuncia e un atto di accusa, ma sono le voci degli ultimi a parlare, è la loro storia. «Alcuni di noi sono illegali, altri sono indesiderati / Il contratto di lavoro è scaduto e ci tocca andare via /… Ci cacciano come fuorilegge, come ladri… Siamo morti sulle vostre colline, siamo morti sui vostri deserti … Siamo morti sotto ai vostri aranceti, siamo morti nascosti dietro ai cespugli / Su questa o quella riva del fiume siamo morti comunque»

Corridoi militari. Ecco perchè non si ferma il Tav

I documenti e i verbali della Ue confermano  che i corridoi TEN-T hanno anche scopi militari.

Chissà quante volte ci siamo chiesti cosa ancora occorresse per fermare la Torino-Lione dopo che tutte le fonti indipendenti e le Corti dei Conti francese e europea ne hanno decretato l’insostenibilità economica e ambientale. Dopo la sbrigativa formula decisionale snocciolata a suo tempo da Conte (“Costa più non farla che farla”) che pure si suppone avesse letto la relazione del prof. Ponti e avesse considerato la sproporzione degli impegni economici tra Italia e Francia. A chi non suonò falsa,  imbarazzata e decisamente insufficiente a giustificare la prosecuzione del progetto?

Non potevano essere stati solo i vuoti slogan dei proponenti sui vantaggi ambientali, commerciali, efficientistici,  o le pressioni delle madamine sponsorizzate dall’Unione Industriale torinese e quella pletora di personaggi impresentabili che hanno cavalcato il tema Tav per opportunità personale o politica. E neanche le pressioni degli industriali, e della folta schiera di clientes che ogni partito alimenta a soldoni per consolidare il proprio sistema di potere.

Ora, grazie a Presidio Europa e all’intraprendenza di alcuni attivisti No Tav di Potere al Popolo, forse capiamo di più. Capiamo la caparbietà, l’arroganza, le tante irregolarità, le difficoltà legali-amministrative, superate da Telt sempre con stupefacente facilità, i ricorsi sempre respinti, le sentenze sempre favorevoli, le delibere dei Comuni sempre ignorate, le richieste di riesame dei dati forniti dai tecnici della Comunità Montana mai considerate o sbrigativamente licenziate, le falsità dei media, la durezza della presenza poliziesca. Capiamo perchè sono cosi sicuri che quella “promessa” di soccorso economico europeo lievitato al 55% dei costi si concretizzerà, e perchè, malgrado i ritardi certificati che avrebbero dovuto sottrarre contributi europei, non ci sia mai stata una seria conseguenza.

La verità dirimente sta nei documenti e nei verbali dell’Unione Europea che presentano una visione chiara di come i famigerati corridoi TEN-T rappresentino un elemento fondamentale per i passaggi necessari verso la costruzione di una Difesa europea comune, autonoma dalla stessa Nato.

Nel 2016 la Ue si rende promotrice di un’iniziativa senza precedenti: l’istituzione di un fondo europeo per la Difesa (European Defence Fund) con il discorso annuale del Presidente Junker che invita a “riflettere sulla necessità di assumersi le responsabilità di proteggere gli interessi e il modo di vivere dei cittadini europei, nel loro territorio e all’estero, senza delegare la loro tutela alle potenze militari altrui”. L’Edf , destinato a sostenere progetti industriali militari, avvia la cooperazione permanente tra eserciti europei per una serie di passaggi sulla mobilità militare e diventa realtà il 7 giugno 2017.

Segue a ruota Violeta Bulc, Commissario per i Trasporti e appassionata sentinella europea della lobby del Tav, che spiega cosi il progetto: “Il nostro obiettivo consiste nell’impiegare al meglio la nostra rete di trasporti, per garantire che si tenga conto delle esigenze militari in sede di pianificazione dei progetti infrastrutturali. Ne derivano un uso più efficace del denaro pubblico e una rete di trasporto meglio equipaggiata, in grado di garantire una mobilità rapida e senza ostacoli in tutto il continente. È una questione di sicurezza collettiva”. (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_18_2521).

In un’audizione alla Camera nel 2019, il Gen. Claudio Graziano, presidente del Comitato Militare dell’Ue, riferisce“La Commissione e l’Alta rappresentante hanno presentato il 10 novembre 2017 una comunicazione congiunta sul miglioramento della mobilità militare e il 28 marzo 2018 un piano d’azione per la mobilità militare all’interno e all’esterno dell’Unione europea. Il piano d’azione è volto in particolare ad individuare i requisiti militari, gli eventuali potenziamenti delle infrastrutture di trasporto e le opzioni… di allineamento della normativa sul trasporto di merci pericolose atti a garantire la mobilità militare. Il 3 giugno 2019 la Commissione europea e l’Alta Rappresentante hanno presentato una relazione sull’attuazione del piano d’azione sulla mobilità militare (JOIN(2019)11).   Si ricorda che nell’ambito della proposta di regolamento relativo al meccanismo per collegare l’Europa (COM(2018) 438), alle reti di trasporto, energia e infrastrutture digitali, è previsto uno stanziamento di 6,5 miliardi di euro per il finanziamento di infrastrutture di trasporto a duplice uso civile e militare nell’ambito del quadro finanziario 2021- 2027, che tenendo conto del tasso di cofinanziamento del 50%, potrebbe mobilitare uno stanziamento complessivo di almeno 13 miliardi di euro per tali progetti.” (http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/AU019.pdf?_1580894703083).

In altra audizione alla camera,  il raggio degli obiettivi si amplia ai programmi spaziali, si danno istruzioni perentorie e si fissano delle scadenze: “…Entro il 2019 la Commissione individuerà le porzioni della rete transeuropea dei trasporti utilizzabili per il trasporto militare. Sarà stilato un elenco di progetti prioritari, con una stima del volume totale degli investimenti necessari per esigenze militari sulla rete transeuropea dei trasporti; entro il 2020 la Commissione valuterà la necessità di adeguare il regolamento relativo alla rete transeuropea dei trasporti al fine di un aggiornamento dei requisiti tecnici per i requisiti militari; entro la fine del 2019 la Commissione determinerà la possibilità di interconnettere le banche dati militari e civili (TENtec); la Commissione continuerà a rafforzare sinergie tra la rete transeuropea dei trasporti e i 3 pertinenti programmi spaziali (per es. EGNOS/Galileo). Gli Stati membri dell’UE sono invitati a: stabilire al più presto un unico punto di contatto per informazioni sull’accesso alle infrastrutture di trasporto per scopi militari; tenere sistematicamente conto delle esigenze militari nella costruzione di infrastrutture di trasporto“.  Abbiamo quindi delle date che richiederebbero conferme ufficiali e un interessante collegamento da chiarire con i progetti spaziali.

Nella stessa occasione, si fa riferimento all’esperimento realizzato nei paesi del corridoio Mare del Nord-Mar Baltico nel 2017 per  testare la capacità delle reti specificando che “L’operazione pilota ha anche individuato importanti opportunità per un duplice uso civile-militare delle infrastrutture, tra queste l’uso delle piattaforme multimodali che consentono di trasferire rapidamente risorse da porti e aeroporti a ferrovie e strade, il miglioramento della capacità dei terminal terrestri e sagome limite adeguate nelle linee ferroviarie merci. La rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) consiste in una rete globale che garantisce l’accessibilità a tutte le regioni dell’UE, da ultimarsi nel 2050, e in una rete centrale, – ritroviamo date familiari – le cui parti strategicamente più importanti devono essere completate nel 2030. La rete TEN-T comprende porti, aeroporti, ferrovie, strade e vie navigabili interne. Per facilitare il completamento delle parti principali della rete centrale sono stati stabiliti nove corridoi multimodali principali. Tale sistema si è già dimostrato molto utile ai fini della mobilità militare in quanto ha permesso di convertire i dati geografici identificati nei requisiti militari in un formato visivo e di creare un visualizzatore interattivo di mappe della mobilità militare TENtec”. (http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/ES008.pdf).

E si arriva cosi al 10 dicembre 2020 quando è portata all’attenzione del parlamento europeo la relazione della Commissione trasporti e turismo che conferma definitivamente: “La politica in materia di infrastrutture di trasporto offre una chiara opportunità per potenziare le sinergie tra le esigenze di difesa e la rete TEN-T, con l’obiettivo generale di migliorare la mobilità militare in tutta l’Unione, affinché le infrastrutture di trasporto nell’ambito delle tratte transeuropee della rete giudicate idonee siano adattate rigorosamente in linea con il principio del “duplice uso”, onde soddisfare le esigenze civili e di difesa. Il Parlamento europeo invita la Commissione a mantenere la sua proposta originaria per il finanziamento della mobilità militare nel quadro del QFP 2021-2027.” (http://www.presidioeuropa.net/blog/wp-content/uploads/2021/01/Revisione-degli-orientamenti-relativi-alla-rete-transeuropea-di-trasporto-20201210-A-9-2020-0251_IT-con-NOTE1.pdf)

Bene, ora sappiamo di più, e forse non ancora tutto, ma già abbastanza per aggiungere alle criticità economiche e ambientali da sempre denunciate il tema dell’antimilitarismo al contrasto della Grande Opera. Sarà sufficiente per scuotere anche quelle anime belle che espongono alla finestra  la bandiera della Pace come massimo impegno? La resistenza ventennale della Val Susa assume oggi ancora più valore, dopo aver messo in luce l’intreccio perverso di interessi che stanno dietro al progettone. Quali forze si faranno avanti per la nuova sfida? (F.S. 25.2.2021)

Usa. Un golpe mancato

Dai pochi dettagli a disposizione, è evidente che il 6 gennaio fu avviato il primo atto di una cospirazione. Comportamenti anomali e qualche ora di vuoto di potere. Poi Pence tradisce il suo Presidente e il Presidente tradisce il suo popolo. Quale America ci lascia?

di Fabrizio Salmoni

Non è stata un’insurrezione ma le dinamiche che hanno portato all’assalto al Capitol a Washington sono simili ai preludi ai colpi di Stato. Il nostro ricordo va alle manifestazioni dei commercianti e allo sciopero massiccio dei camionisti cileni dell’autunno 1973, che più tardi si seppe finanziato dalla Cia, che furono pretesto ultimo per l’intervento miitare contro il legittimo governo di Allende. Più recentemente, ricordiamo le manifestazioni della piccola borghesia e dei sottoproletari venezuelani istigate dal capo dell’opposizione Guaidò, sostenuto con sanzioni e dollaroni dagli Usa, per dare una spallata al governo Maduro e persuadere l’esercito a rovesciarlo. I meccanismi delle trame del Potere sono sempre le stesse, c’è poca fantasia: suscitare eventi popolari per dare legittimità a un’iniziativa illegittima ma “giustificata” dalle circostanze e “richiesta dal popolo”. I fatti di Washington sono ormai stati descritti a iosa da tutti i media ma richiedono profonde riflessioni e una corretta informazione per poterne valutare appieno la portata e la pericolosità.

L’evidenza dice che un Presidente affetto da delirio paranoico, ignorante e irrispettoso delle regole istituzionali ha incitato una folla a marciare sul Capitol nell’estremo esplicito tentativo di bloccare i lavori delle Camere congiunte che dovevano sancire l’esito delle elezioni. Una dimostrazione di forza che prevedibilmente non poteva però bastare. Sicuramente un atto eversivo ma doveva esserci altro.

L’ “altro” è stato fotografato, e finora poco rilevato dai media e dai commentatori, da uno spazio temporale di qualche ora in cui è stato evidente un vuoto di potere e da alcuni fatti precedenti alla manifestazione. Proviamo a individuarli.

1. Il giorno prima danno le dimissioni alcuni alti funzionari della Casa Bianca, capi dello staff e la speaker della First Lady. probabilmente sanno cosa dovrebbe succedere e, a buon conto, lasciano la nave. Meglio non fidarsi.

2. Fin dalla sera precedente, il sindaco di Washington, signora Bowser, nera e Democratica, che negli Usa è l’autorità di polizia locale e nel Distretto di Columbia, capo del ramo esecutivo del governo del Distretto stesso, non mobilita i reparti antisommossa malgrado la situazione di evidente gravità che stava maturando (una manifestazione aggressiva in concomitanza con la seduta parlamentare e nei pressi del Capitol dove è vietato portare armi);

3. lo stesso sindaco, malgrado le sollecitazioni per chiamare la Guardia Nazionale, esita fino all’ultimo e dichiara infine di chiederne l’intervento “disarmato” (si è mai visto?), ma senza poi procedere.

4. I capi della Sicurezza del Capitol (oggi tutti dimissionari) non rinforzano le misure interne ed esterne. L’atteggiamento di diversi degli stessi agenti nei confronti dei manifestanti che invadono il Congresso è evidentemente morbido se non complice: sfoggiano ma non usano manganelli (si scambiano pugni, calci e spintoni), uno viene fotografato mentre si fa un selfie con un dimostrante. A noi ricorda i poliziotti che si tolgono il casco alle manifestazioni dei Forconi. Poi uno di quelli barricati nell’aula e pressati dai dimostranti che forzano le porte perde il controllo e spara facendo la prima vittima della giornata.

5. Nel frattempo in città si forma un corteo antiTrump che si avvia verso il Capitol. Tardivo ma al momento simbolicamente importante. Si profila un possibile scontro nelle strade

6. A questo punto, le pressioni dei congressisti assediati e scappati nei rifugi riescono a costringere il vicepresidente Pence a chiamare il Pentagono per mobilitare la Guardia Nazionale che arriva in pieno assetto intorno alle ore 15 e decreta il coprifuoco dalle 17. Un cedimento evidente di Pence, non certo un cuor di leone, che Trump aveva indirettamente esortato a “fare il suo dovere al Congresso, se no non mi piacerà più tanto...”. Ora tradisce.

Tutto questo e forse ulteriori dettagli che verranno sicuramente alla luce, dicono che ci fu un momento cruciale di poteri vacanti, uno di quei momenti in cui gli equilibri sono precari e possono cedere da una parte o dall’altra, quelli che determinano gli eventi storici se le opportunità vengono prese tempestivamente e con polso.

Ma è qui che si inceppa tutto. Trump capisce che è andata male e tenta goffamente di richiamare la folla dopo averla  aizzata. Si rinchiude alla Casa Bianca in preda a rabbia e paura, sente che si prospettano accuse pesanti di sedizione, incitamento all’insurrezione armata, voci di impeachment e di 25mo Emendamento. Biden, che prima di essere confermato dal Congresso gli aveva rivolto un appello quantomai moscio a smettere di fare il cattivo, ora finalmente parla di insurrezione e di punizioni. Lui ci pensa, incassa altre dimissioni e il 7 sera concede la vittoria di Biden.

Ora pensa a come cavarsela ma sa che lo aspettano tempi duri: accuse di frode fiscale, di tentata estorsione nei confronti del procuratore Generale della Georgia, ulteriori accuse e indagini a breve per la giornata del 6 gennaio, un Partito Repubblicano che lo ha mollato, i social interdetti. Si era preparato una fuga in Scozia, come un qualsiasi tiranno del Terzo Mondo, ma l’ingresso nel Regno Unito non gli è stato concesso. Forse dovrà scappare altrove (Brasile?). Si è giocato malamente tutto. Fra 10 giorni sarà solo e con un pendente mandato di cattura dell’Iran per l’assassinio del generale Soleimani, tanto per farlo vivere tranquillo…E lo stigma che gli brucia più di qualsiasi insulto: essere un “loser”, un perdente.

Cosa rimarrà di lui? Un Partito Repubblicano spaccato e in crisi, dei figli che purtroppo cercheranno di rientrare in politica, un Deep State mai intaccato, una base di seguaci pericolosi che si sfogheranno con qualche scontro armato e qualche attentato, una brutta ferita alle regole istituzionali e all’immagine degli Stati Uniti, un corpo sociale diviso, le tensioni razziali al massimo, quasi 300.000 morti di Covid per una politica negazionista sciagurata, un elettorato bianco che teme di diventare minoranza etnica e rivendica i “valori del passato”, quelli buoni, magari mal declinati, e quelli cattivi come le “sane leggi del capitalismo” che, complice lo stesso Trump, li hanno impoveriti. Chissà se si accorgeranno di essere anche stati manipolati e traditi.

Si temeva una seconda guerra civile: non ci sarà. La nazione è divisa ma non su linee sezionali, di classe o omogenee. Gli eventuali focolai saranno repressi. In compenso,aumenterà la sfiducia verso un sistema politico bloccato su due partiti che hanno fatto il loro tempo ma per ora non ci sono alternative. L’America ha i suoi anticorpi (Dio e Patria) che, piaccia o no, funzioneranno fin quando non si evidenzierà un ulteriore decadimento economico o qualche trasformazione epocale o il quadro geopolitico mondiale non muterà indebolendola. Poi si vedrà. (F.S. 8.1.2021)

Elezioni Usa. Come Trump può perdere il voto popolare ma vincere le elezioni

Tre ipotesi neanche tanto estreme per ribaltare la sconfitta e per stravolgere democrazia e Costituzione con un colpo di stato “legale”.

di Fabrizio Salmoni

Molti osservatori sono propensi a pensare che il momento più critico di queste elezioni americane non si verificherà la sera del 3 Novembre ma bensi nel periodo di transizione che si sviluppa usualmente fino al 21Gennaio con la cerimonia ufficiale di proclamazione.

Cosa giustifica tale previsione? Alla base di tutto sta l’ambiguità dell’attuale Presidente nel non confermare di voler accettare l’eventuale sconfitta, con tutte le implicazioni di ordine pubblico che tale eventualità potrebbe comportare.  Sono mesi inoltre che Trump afferma pubblicamente che le elezioni saranno “rubate” dai Democratici grazie prevalentemente al voto per posta che egli ha fatto di tutto per limitare o addirittura annullare, aiutato in questo dalla recente decisione della Corte Suprema di concedere solo tre giorni alla conta oltre il 3 Novembre. Ma una volta annusata la sconfitta con le proiezioni su Florida, Ohio e Pennsylvania, Trump avrebbe diverse opzioni per cercare di ribaltare i risultati.

La prima è affidarsi al sistema giudiziario che i Repubblicani da mesi hanno manipolato: Trump dichiara che le elezioni sono strate fraudolente e truccate e si appella alle commissioni elettorali. Quelle degli Stati governati dai Repubblicani si danno da fare e cominciano a invalidare un numero di voti ampio solo a sufficienza per erodere il vantaggio di Biden: l’1% qui, il 2% là, il 2,5% altrove. La vittoria di Biden comincia ad apparire dubbia e il problema passa alla Corte Suprema dove Trump si è appena assicurato la maggioranza con la nomina della superconservatrice e fondamentalista religiosa Amy Comey Barrett. La Corte a questo punto può appellarsi ai collegi Repubblicani o decidere in proprio. In entrambi i casi, le risoluzioni sarebbero favorevoli a Trump. E il gioco è fatto.

La seconda prevede l’evenienza che la sera del 3 novembre i margini di vittoria di Biden siano esigui o molto stretti per entrambi i candidati per la lentezza dello spoglio dei voti postali. A quel punto, le commissioni elettorali non chiedono il riconteggio ma contestano i voti singoli sulla base di strette tecnicalità. Per esempio, un ritardo di pochi secondi nella comunicazione dai seggi, certificazioni in ritardo, firme che non corrispondono…si solleciterebbero le commissioni elettorali a privilegiare il principio della totale integrità del voto in un’atmosfera in cui le pressioni di Trump si fanno sempre più pesanti cosi come le minacce di rappresaglia da parte delle milizie, e di nuovo la decisione passerebbe nelle mani del sistema giudiziario. Come sopra.

La terza è intricata, insolita ma non impossibile. Trump perde il voto elettorale e il sistema giudiziario si impunta sulla propria indipendenza. Tutto sembra perduto ma il Partito Repubblicano ha un asso nella manica. Non tutti sanno che l’appartenenza dei Grandi Elettori attribuiti dagli Stati non è vincolante e che hanno tempo fino a sei settimane per esprimersi. In quel periodo di tempo, le pressioni del Partito Repubblicano possono farsi pesanti: “Non avete capito che il voto è stato falsato, che il voto postale è fraudolento? Potreste essere puniti per aver convalidato …potreste essere ricompensati con la carriera politica, con favori, incarichi amministrativi, per aver annullato...”. Quanti Grandi Elettori che cambiano parte sarebbero necessari? Non molti: la Pensylvania ne ha 20, la North Carolina 15, il Minnesota 10.Sui 538 complessivi, una quindicina di loro potrebbero bastare a rovesciare i risultati. Improbabile? Abbastanza, ma non ci sono leggi che proibiscano di cambiare un voto che la consuetudine dà per scontato. E gli scrupoli di un Trump per imboccare anche quella strada pur di non perdere non sono ipotizzabili, vista la persona.

E visti i rischi personali per la sconfitta. Su di lui pendono gravi rischi di incriminazione per frode fiscale e altre malversazioni finanziarie. Se non fosse rieletto rischierebbe l’arresto. Per questo, gli osservatori ipotizzano l’ultima mossa, estrema, quella del cavallo: le dimissioni nel periodo di transizione con la Presidenza, che verrebbe assunta dal vicepresidente in carica Pence il quale si farebbe premura di concedere velocemente la grazia. Con cui Trump se ne andrebbe libero come un fringuello verso nuove avventure.

A rendere possibili tutte queste ipotesi che gli analisti, nella situazione presente, non si sentono di escludere, concorrerebbe certamente l’atmosfera di tensione sociale, forse di scontri armati locali, di repressione che il Paese vivrebbe per settimane. Una tempesta perfetta per favorire le peggiori manovre, anche con l’immancabile pretesto dell’ emergenza che solo una vittoria schiacciante di Biden potrebbe evitare.

Quali riflessioni, tutti questi meccanismi, trappole e trucchi (legali) per alterare un’elezione suggeriscono? Quella più scontata che i potenti se la cavano sempre. E purtroppo quella più amara: che anche la più perfetta democrazia può cadere sotto i colpi, delle proprie crepe, della manipolazione più estrema di tutte le regole, se c’è la volontà di farlo, se ha in essa i germi, le condizioni per ammalarsi.

Cosa potrebbe fare un Trump nel secondo mandato? Potrebbe cambiare la Costituzione, eliminare il limite del secondo mandato, limitare le libertà di stampa, fare gli interessi propri e della sua famiglia, inaugurare una democrazia autoritaria con un potenziale militare senza eguali e prospettive imprevedibili. Ma a quale prezzo per gli americani e per il mondo intero?

Ancora pochi giorni e avremo le prime risposte. (F.S. 2.11.2020)

USA. Sull’orlo di una guerra civile?

Una polarizzazione politica senza precedenti, un Presidente che non vorrebbe concedere l’eventuale sconfitta, milizie contrapposte, un sistema legale che potrebbe non reggere le controversie sulla validità delle elezioni. Uno scenario imprevedibile.

di Fabrizio Salmoni

E’ la domanda che alcuni osservatori hanno cominciato a farsi analizzando i segnali che provengono dal corpo sociale e dai comportamenti di Trump. E’ indubbia l’estrema polarizzazione politica che sta dividendo la Nazione, già viva e ribollente sotto la superficie da prima delle elezioni del 2016, ma che si è acutizzata negli ultimi quattro anni per l’azione di un Presidente dimostratosi capace di suscitare sentimenti estremi, più abile a dividere che a unire il Paese, più preoccupato di confermarsi al Potere e di assicurarsi l’appoggio del grande capitale che di migliorare welfare e potere d’acquisto dei cittadini più poveri a costo anche di ridurre quelli della classe media. Abbiamo visto del cinismo incosciente nel suo evocare, distorcendoli, i valori positivi dell’individualismo in chiave antisociale, e volgerli contro i suoi stessi elettori, contro le minoranze affamate di riconoscimento e diritti civili, contro la cultura inclusiva, insomma contro l’anima “progressista” della nazione (https://mavericknews.wordpress.com/2016/10/04/non-ce-crisi-in-paradiso-paradossi-e-identita-di-classe-nellamerica-di-obama-e-di-trump/#more-1214). Col risultato di fare riemergere alla superficie radicalità contrapposte (le razze), sensibilità reali (casta e establishment) mal direzionate, mistificate (addirittura il socialismo, se non il comunismo!), per un’America ignorante, incattivita dalla crisi e dalla pandemia, pronta a richiudersi in se stessa, a cercare i propri nemici dentro e fuori, in un’identità anacronistica da razza padrona che si sente da più parti minacciata.

La campagna presidenziale ha ulteriormente abbassato il livello del confronto politico e aumentato la polarizzazione. Dagli scontri sui temi razziali sono emerse le milizie armate su entrambi i fronti, solo nelle ultime settimane sono aumentate le vendite di armi (5 milioni di americani in più ne hanno comprate); dalla critica alla casta “progressista” e radical chic è apparso il complottismo virtuale di QAnon che attribuisce a Trump il compito messianico di liberare l’America dal Deep State (che è sempre esistito ma il cui potere occulto viene attribuito ai Democratici). Un calderone di tensioni vere o fittizie che il Presidente non tenta neanche di sopire avendo scelto la strada dello scontro sociale piuttosto che lo scorno di perdere. Anzi, le attizza, con le manovre per delegittimare il voto postale, con la nomina dell’ultraconservatrice Barrett alla Corte Suprema che ne spariglia gli equilibri, con il ricatto appena esplicito di non riconoscere la sua eventuale sconfitta elettorale, con la politica dell’appoggio alla polizia e gli appelli a Legge e Ordine, con gli appelli alle milizie di “stare indietro ma stare pronti“. Dal fronte opposto si risponde senza mezzi termini come in un articolo intitolato “Prepararsi al contraccolpo qualsiasi cosa  accada a Trump a Novembre” sul magazine online di sinistra Medium Daily Digest del 6 Ottobre : ” La rabbia bianca a questo punto? Massiccia. Ci stiamo già preparando da tempo a quella se Trump vince a Novembre ma la violenza se lui non ce la facesse sicuramente la eclisserebbe…Nei quattro anni passati ci siamo dedicati a prepararci e a reagire al peggio di questo Paese e al modo in cui minaccia le nostre vite. Non ci fermeremo comunque vada per Trump a Novembre o dopo“. Tutto questo porta gli osservatori a chiedersi se non si sia veramente sull’orlo di una guerra civile o di qualcosa che vi somigli.

Liberate il Michigan!” aveva twittato in primavera Trump e i Wolverine Watchmen a decine, armati, avevano assediato il Campidoglio di Stato contro le restrizioni Covid.

Ed è di questi giorni l’arresto di otto componenti dei Wolverine per aver complottato il rapimento della Governatrice Dem del Michigan, l’esplosione della sua casa, e l’occupazione del Parlamento locale per provocare una guerra civile. Un’azione con un preoccupante precedente storico: il velleitario raid del 1859 del fanatico religioso abolizionista John Brown all’arsenale militare di Harper’s Ferry per scatenare la ribellione degli schiavi nel Sud in un’America già divisa sui problemi costituzionali che da li a due anni avrebbero portato alla guerra civile. Brown fu arrestato e impiccato insieme a diversi della sua banda per cospirazione e insurrezione armata ma divenne un simbolo per la guerra del Nord unionista.

Un mio amico neotrumpista mi aveva predetto, fin dagli ultimi anni dell’amministrazione Obama, che presto ci sarebbe stata una guerra civile e aveva cominciato a raccogliere armi. La sua casa era diventata un arsenale. Oggi mi manda messaggi criptati che non riesco a leggere perchè scompaiono dopo un’ora: me li manda senza considerare il fuso orario. E’ chiaramente “mobilitato”.

Dall’altra parte, le grandi mobilitazioni interrazziali seguite alla morte di George Floyd e le dure reazioni poliziesche che le hanno affrontate, hanno aperto la strada a organizzazioni di autodifesa delle comunità nere come la Not Fucking Around Coalition o di gruppi militanti della sinistra che hanno gestito gli scontri urbani più duri.

Del resto, un recente sondaggio del Georgetown Institute of Politics and Public Service ha rivelato che gli elettori sono convinti che si sia a tre quarti di strada verso una guerra civile e più di un terzo pensano che ci si arrivi entro cinque anni. Qual’è il fattore allarmante per questi elettori? Il fatto che nessuna delle due parti politiche sembri disposta a riconoscere il successo elettorale dell’altra.

Quanto tale evenienza è probabile in un Paese che comunque offre ancora livelli di benessere superiori a quelli di altri?

In realtà, la situazione economica non è più cosi rosea perchè dall’esplosione della pandemia milioni di posti di lavoro sono stati perduti e non si vedono i tempi di ricupero; milioni di americani hanno visto calpestato il proprio orgoglio individuale dalla nuova dipendenza da sussidi governativi per la prima volta nella loro vita facendoli sentire equiparati ai tanto disprezzati “fannulloni neri che vivono di welfare“, e più di 200.000 ad oggi sono i morti di Coronavirus. Una situazione che non ha toccato i livelli di disperazione della Grande Depressione ma che non garantisce nè che i vaccini possano arrivare a breve nè che arrivino stimoli economici fino a dopo le elezioni. Per molti americani di ogni razza, credo o colore, e più ancora per quella middle class che ha sempre goduto di un discreto benessere, le prospettive sono pessime perchè percepiscono che la loro fetta di “torta Americana” si è ristretta di molto. Sebbene le rivendicazioni del Black Lives Matter riguardino uguaglianza e giustizia sociale è difficile non vedere sottotraccia evidenti istanze di classe e una forte richiesta di riforme sociali che non tocchino quei miti culturali e identitari tanto condivisi finora collettivamente ma oggi fatti propri dalle destre patriottiche e religiose e agitati dai politici repubblicani. Anche cosi si spiega l’anatema antisocialista/comunista dei conservatori su provvedimenti sociali (come il Medicare) che somigliano più a quelli dell’Europa liberale che della Russia sovietica: marchi di infamia e di terrore epocali agitati a sproposito dalla cattiva politica ma introitati acriticamente nel subconscio americano dal XX° secolo.

Si aggiunga alla ricetta la stanchezza del sistema bloccato sui due partiti, percepito come ostacolo al rinnovamento, macchine avulse dalla realtà nelle mani delle lobby, dei miliardari, delle corporation, degli apparati occulti (il Deep State) e mediatici, delle mafie;  si aggiunga la sfiducia per il sistema elettorale, vittima di manipolazioni, ostaggio del meccanismo voto popolare/voto elettorale, quello che ha già strappato la vittoria ai Dem per tre volte in sei tornate elettorali; si aggiunga infine un ulteriore fastidio per le manovre della cricca presidenziale tendenti a invalidare il voto postale, questa volta particolarmente numeroso per le restrizioni Covid alla mobilità e tradizionalmente Democratico perchè collegato alla maggiore affluenza (si prevedono 80 milioni di voti postali, più del doppio del 2016) e e diventa cosi più chiara la crisi ampia di sistema.

Senza i voti postali o con l’invalidazione di molti di essi, Trump potrebbe vincere grazie al voto elettorale, quello caldeggiato per suprema ironia da Alexander Hamilton per evitare “l’intrigo e le basse arti della popolarità“, che fraziona i risultati dei singoli Stati e assegna “i punti” elettorali.

Ma cosa potrebbe allora succedere? Forse non una guerra civile ma probabili scontri armati isolati che rafforzerebbero la repressione e un governo sempre più autoritario frutto di un disegno eversivo. Come vincitore Trump avrebbe potere legale di utilizzare la forza per sedare eventuali ribellioni.

Più difficile pensare a cosa potrebbe succedere se Trump perdesse ma non volesse “concedere” all’avversario. Non è facile pensare che un personaggio cosi ossessionato dalla necessità di vincere possa farlo. Perdere per lui non è un’opzione ma sulla possibilità potrebbe aver lavorato da mesi. Potrebbe denunciare i brogli del voto postale e convocare a Washington la sua gente per dichiarare le elezioni non valide perchè “truccate” dai Democratici. Già lo ha twittato: “…Sarebbe la fine del nostro grande Partito Repubblicano. Non possiamo lasciare che questa tragedia si abbatta sulla nazione“. La sua gente accetterebbe qualsiasi cosa lui dica. Migliaia di persone armate potrebbero creare una situazione di insorgenza molto grave.

Un sondaggio di Fox News durante la discussione sull’impeachment, indicò una percentuale del 41% di votanti registrati contrari all’impeachment. Di quelli, il 57% dissero che niente li avrebbe costretti ad accettare l’impeachment. NIENTE. Si può calcolare dunque che quel 57% corrispondente al 23% di tutti gli elettori (circa 32 milioni) siano decisi sostenitori di Trump, quasi tutti possessori di almeno un’arma.

Cosa farebbero se fossero chiamati a opporsi all’ “estrema sinistra, ai marxisti, agli anarchici, ai violenti, ai saccheggiatori” che vogliono togliere loro le armi, aprire i confini, far diventare l’America un Paese socialista, istituzionalizzare il razzismo contro i bianchi e metterli in condizione minoritaria?

Si consideri anche che qualsiasi sia l’esito delle elezioni, Trump rimarrebbe in carica e Comandante-in-Capo per la transizione fino all’inaugurazione il 20 Gennaio 2021 e tanto potrebbe accadere in quello spazio di tempo. Per esempio che il vicepresidente Pence in qualità di Presidente della Sezione Elettorale del Congresso si rifiuti di dichiarare Biden Presidente per presunti brogli.

In caso di disaccordo la legge prevede procedure per stabilire un verdetto sicuro ma in una situazione di estrema confusione, tensione, dichiarazioni di illegittimità di qualche Corte statale, potrebbe essere difficile arrivarci. La Corte Suprema ancora priva della neonominata Barrett potrebbe ritrovarsi a pari voti incapace di deliberare mentre nel caso opposto di conferma della Barrett i Democratici metterebbero in discussione la decisione favorevole a Trump. Insomma, gran pasticcio costituzionale, più complicato ancora che la questione dei diritti degli Stati che portò alle secessioni multiple nel 1861.

Allora l’esercito della Repubblica si spezzò in due e i singoli ufficiali scelsero la loro parte in base alla fedeltà alla Costituzione o al proprio Stato.

Cosa farebbe oggi l’esercito? Se le forze di polizia si schiererebbero probabilmente con Trump per il sostegno ricevuto durante i disordini razziali, la posizione delle gerarchie militari, denigrate e insultate ripetutamente da Trump (v. Bob Woodward, Paura, ed. Solferino e anche P. Rucker, Carol Leonnig, Una presidenza come nesuun’altra, Mondadori) potrebbe essere diversa e risolvere la crisi con il proprio peso restaurando gli equilibri costituzionali. O sostenere un colpo di stato con conseguenze imprevedibili o anche dividersi e aprire veramente una guerra civile che cambierebbe la storia del mondo.

Fantapolitica? Presto sapremo. (F.S. 11.10.2020)

Referendum Si o No

 

La confusione regna sovrana. Non bastava il Covid, l’allargamento del cantiere Tav, il tormentone sulla scuola, i nuovi (!) misteri di Caronia, l’imperversare di Salvini. Ci mancava ancora un referendum con il solito dispiegamento di specialisti, opinionisti e opposti schieramenti per avvelenarci la quotidianità e minare i nostri precari equilibri.

Non mi appassiona il dibattito su questo tema con tutto quello che succede nel mondo e quello che si prepara per il futuro ma, viste le pressioni che arrivano da tutte le parti, mi sforzo di condividere le mie riflessioni, ad oggi.. Con due premesse:

 

  1. di escludere un condizionamento da appartenenza partitica: attualmente nessuno rappresenta le mie opinioni su giustizia sociale, bisogni collettivi, modello di sviluppo e ambiente e ,anzi, sono mediamente disgustato quanto un qualsiasi medio cittadino da ciò che mi capita intorno.
  2. nell’affrontare la materia faccio mio il punto di vista degli interessi dei cittadini attivi e partecipanti che non hanno rappresentanza nelle istituzioni: i movimenti per i beni pubblici, contro le grandi opere, ecc.

Sgombrato preventivamente il campo da obiezioni “di parte”, vengo al sodo. Leggi il resto dell’articolo