Insopportabili ipocrisie

Il Quinto Potere, i no vax, l’Afghanistan

Lo so, ne abbiamo ormai viste e sentite tante che non ci stupiamo più. Però abbiamo ancora la forza di indignarci per l’efficace banalità del potere, soprattutto di quello mediatico. Banale perché le sue linee di comportamento, le sue reazioni agli eventi della società e del mondo sono sempre uguali. Talmente uguali che ci sembra impossibile che l’opinione pubblica, la gente, il popolo, il pubblico o come vogliamo chiamare questa massa polimorfa di sudditi. non abbia imparato. Efficace perchè, appunto, non ha ancora imparato e si fa manipolare da un’informazione che è sempre più sfacciatamente “braccio armato” del potere, dei governi, che trincera la propria malafede dietro il totem di una libertà dell’informazione di cui abusano in permanenza, manipolandola senza scrupoli.

Facciamo due esempi attuali? Non c’è bisogno di essere no vax o no pass per deprecare la campagna che si sta montando contro quei cittadini, uno dei quali ha osato dare due pugni a uno di quegli insopportabili cacciatori di dichiarazioni per strada, quelli che si ammucchiano intorno ai politici per strappare loro qualche telegramma di cazzate. Due pugni bastano per farsi dare dei terroristi, per sguinzagliare perquisizioni che trovano non ben specificate armi, si badi bene, improprie, per suscitare alti lai sulla violenza, che è sempre “intollerabile” quando non esercitata a piene mani (vedi Val Susa) dalle forze dell’ordine o a mezzo stampa tramite tutti i sotterfugi del mestiere (v. titoli diversi dal contenuto degli articoli, veline a senso unico, bugie “a grappolo” come le bombe, trattamento diverso e interruzioni a seconda degli ospiti nei talk show, ecc.). Imparino a chiedere e pubblicare i comunicati dei vari movimenti, invece di chiedere opinioni dei singoli, quasi sempre male espresse per l’immediatezza dell’intervista o per limiti espressivi.

Altro esempio, ancora più paradossale, è l’Afghanistan. Da quando siamo scappati vergognosamente al seguito, come sempre, degli americani, tutta l’informazione occidentale è concentrata nell’attaccare quotidianamente tutto quello che non ci piace dei talebani o su ogni minimo presunto difetto o ritardo nella riorganizzazione di quel paese, persino sul traffico a Kabul o sui tempi di formazione del governo (proprio noi!). Seminiamo disinformazione dicendo che i talebani soffocano la vita del paese mentre ci mostrano strade di Kabul e mercati con la gente che passeggia tranquillamente e va per gli affari suoi; che il dissenso monta ma, che strano!, la guerra l’hanno vinta perchè la popolazione li ha sempre sostenuti; che l’ordine è imposto con la violenza ma ci mostrano qualche staffilettata che non regge il confronto con le botte e i lacrimogeni in faccia dei nostri Reparti Mobili.  Ammoniamo, diffidiamo, minacciamo perchè non sono e non pensano come noi. Ci indigniamo che facciano fuori un po’ di collaborazionisti  dell’invasore straniero: cose che capitano a chi ha combattuto con un esercito fantoccio per un governo fantoccio. Cose che sono capitate anche da noi per analoghe comprensibili ragioni nel 1945.

Una bella faccia tosta, dopo una guerra imposta per vent’anni che ha fatto decine di migliaia di vittime civili (v. cifre di Emergency), una guerra coloniale per “importare la democrazia” ed esportare materie prime i cui presupposti antiterroristici si sono smentiti, o per lo meno formalmente esauriti, nel momento dell’eliminazione (in paese terzo) di Bin Laden, dieci anni fa. Per non contare le tante cose poco chiare nella stessa genesi di quella guerra, e nelle responsabilità dei neocons sull’11 settembre che solo oggi cominciano a emergere dalla fuffa che tutti i media ci hanno da allora propinato. Ci tocca sopportare anche le lezioni sulla “guerra sbagliata” da chi allora era in prima fila a invocarla.

Vogliamo capire che abbiamo perso quella guerra ventennale e che ora i vincitori hanno tutto il diritto di farsi lo Stato che vogliono, il governo che vogliono, con la loro sharia, le loro regole e le loro leggi? Che da loro non accettiamo ma da altri che ci servono si, vedi un’ Arabia Saudita, stato feudale a regime confessionale che fa i giornalisti antipatici a pezzi in ambasciata, che taglia le mani ai ladri e la testa agli oppositori, che regola con la sharia tutta la vita civile e la vita delle donne (a quelle donne non teniamo da farci su una campagna mediatica?); o vedi anche un Israele, che fa collezione di risoluzioni Onu sul regime di apartheid, sull’occupazione illegale dei territori palestinesi, sugli omicidi mirati degli stessi, minori e handicappati compresi, sulle restrizioni alle donne ortodosse dettate dalla legge religiosa; per non parlare di Egitto, Turchia…

La verità è che l’Occidente non è meglio di tanti altri in quanto a classi politiche e sistema mediatico impositivo, conformista e servo di quelle classi politiche e dei vari gruppi di potere. E in progressivo peggioramento in quanto ad autoritarismo, erosione degli spazi democratici, controllo di massa invasivo.

Vale la pena ricordare la legge costante della storia posta in particolare evidenza dal Tocqueville, storico dell’Ancien régime e della rivoluzione francese (quella che i popoli arabi non hanno mai fatto) laddove sostiene che la causa determinante che ha fatto perdere agli uomini il potere è stata sempre che essi erano diventati indegni di esercitarlo per la loro inefficienza, il loro egoismo, i loro vizi. (F.S. 9.9.2021)

Usa. Un golpe mancato

Dai pochi dettagli a disposizione, è evidente che il 6 gennaio fu avviato il primo atto di una cospirazione. Comportamenti anomali e qualche ora di vuoto di potere. Poi Pence tradisce il suo Presidente e il Presidente tradisce il suo popolo. Quale America ci lascia?

di Fabrizio Salmoni

Non è stata un’insurrezione ma le dinamiche che hanno portato all’assalto al Capitol a Washington sono simili ai preludi ai colpi di Stato. Il nostro ricordo va alle manifestazioni dei commercianti e allo sciopero massiccio dei camionisti cileni dell’autunno 1973, che più tardi si seppe finanziato dalla Cia, che furono pretesto ultimo per l’intervento miitare contro il legittimo governo di Allende. Più recentemente, ricordiamo le manifestazioni della piccola borghesia e dei sottoproletari venezuelani istigate dal capo dell’opposizione Guaidò, sostenuto con sanzioni e dollaroni dagli Usa, per dare una spallata al governo Maduro e persuadere l’esercito a rovesciarlo. I meccanismi delle trame del Potere sono sempre le stesse, c’è poca fantasia: suscitare eventi popolari per dare legittimità a un’iniziativa illegittima ma “giustificata” dalle circostanze e “richiesta dal popolo”. I fatti di Washington sono ormai stati descritti a iosa da tutti i media ma richiedono profonde riflessioni e una corretta informazione per poterne valutare appieno la portata e la pericolosità.

L’evidenza dice che un Presidente affetto da delirio paranoico, ignorante e irrispettoso delle regole istituzionali ha incitato una folla a marciare sul Capitol nell’estremo esplicito tentativo di bloccare i lavori delle Camere congiunte che dovevano sancire l’esito delle elezioni. Una dimostrazione di forza che prevedibilmente non poteva però bastare. Sicuramente un atto eversivo ma doveva esserci altro.

L’ “altro” è stato fotografato, e finora poco rilevato dai media e dai commentatori, da uno spazio temporale di qualche ora in cui è stato evidente un vuoto di potere e da alcuni fatti precedenti alla manifestazione. Proviamo a individuarli.

1. Il giorno prima danno le dimissioni alcuni alti funzionari della Casa Bianca, capi dello staff e la speaker della First Lady. probabilmente sanno cosa dovrebbe succedere e, a buon conto, lasciano la nave. Meglio non fidarsi.

2. Fin dalla sera precedente, il sindaco di Washington, signora Bowser, nera e Democratica, che negli Usa è l’autorità di polizia locale e nel Distretto di Columbia, capo del ramo esecutivo del governo del Distretto stesso, non mobilita i reparti antisommossa malgrado la situazione di evidente gravità che stava maturando (una manifestazione aggressiva in concomitanza con la seduta parlamentare e nei pressi del Capitol dove è vietato portare armi);

3. lo stesso sindaco, malgrado le sollecitazioni per chiamare la Guardia Nazionale, esita fino all’ultimo e dichiara infine di chiederne l’intervento “disarmato” (si è mai visto?), ma senza poi procedere.

4. I capi della Sicurezza del Capitol (oggi tutti dimissionari) non rinforzano le misure interne ed esterne. L’atteggiamento di diversi degli stessi agenti nei confronti dei manifestanti che invadono il Congresso è evidentemente morbido se non complice: sfoggiano ma non usano manganelli (si scambiano pugni, calci e spintoni), uno viene fotografato mentre si fa un selfie con un dimostrante. A noi ricorda i poliziotti che si tolgono il casco alle manifestazioni dei Forconi. Poi uno di quelli barricati nell’aula e pressati dai dimostranti che forzano le porte perde il controllo e spara facendo la prima vittima della giornata.

5. Nel frattempo in città si forma un corteo antiTrump che si avvia verso il Capitol. Tardivo ma al momento simbolicamente importante. Si profila un possibile scontro nelle strade

6. A questo punto, le pressioni dei congressisti assediati e scappati nei rifugi riescono a costringere il vicepresidente Pence a chiamare il Pentagono per mobilitare la Guardia Nazionale che arriva in pieno assetto intorno alle ore 15 e decreta il coprifuoco dalle 17. Un cedimento evidente di Pence, non certo un cuor di leone, che Trump aveva indirettamente esortato a “fare il suo dovere al Congresso, se no non mi piacerà più tanto...”. Ora tradisce.

Tutto questo e forse ulteriori dettagli che verranno sicuramente alla luce, dicono che ci fu un momento cruciale di poteri vacanti, uno di quei momenti in cui gli equilibri sono precari e possono cedere da una parte o dall’altra, quelli che determinano gli eventi storici se le opportunità vengono prese tempestivamente e con polso.

Ma è qui che si inceppa tutto. Trump capisce che è andata male e tenta goffamente di richiamare la folla dopo averla  aizzata. Si rinchiude alla Casa Bianca in preda a rabbia e paura, sente che si prospettano accuse pesanti di sedizione, incitamento all’insurrezione armata, voci di impeachment e di 25mo Emendamento. Biden, che prima di essere confermato dal Congresso gli aveva rivolto un appello quantomai moscio a smettere di fare il cattivo, ora finalmente parla di insurrezione e di punizioni. Lui ci pensa, incassa altre dimissioni e il 7 sera concede la vittoria di Biden.

Ora pensa a come cavarsela ma sa che lo aspettano tempi duri: accuse di frode fiscale, di tentata estorsione nei confronti del procuratore Generale della Georgia, ulteriori accuse e indagini a breve per la giornata del 6 gennaio, un Partito Repubblicano che lo ha mollato, i social interdetti. Si era preparato una fuga in Scozia, come un qualsiasi tiranno del Terzo Mondo, ma l’ingresso nel Regno Unito non gli è stato concesso. Forse dovrà scappare altrove (Brasile?). Si è giocato malamente tutto. Fra 10 giorni sarà solo e con un pendente mandato di cattura dell’Iran per l’assassinio del generale Soleimani, tanto per farlo vivere tranquillo…E lo stigma che gli brucia più di qualsiasi insulto: essere un “loser”, un perdente.

Cosa rimarrà di lui? Un Partito Repubblicano spaccato e in crisi, dei figli che purtroppo cercheranno di rientrare in politica, un Deep State mai intaccato, una base di seguaci pericolosi che si sfogheranno con qualche scontro armato e qualche attentato, una brutta ferita alle regole istituzionali e all’immagine degli Stati Uniti, un corpo sociale diviso, le tensioni razziali al massimo, quasi 300.000 morti di Covid per una politica negazionista sciagurata, un elettorato bianco che teme di diventare minoranza etnica e rivendica i “valori del passato”, quelli buoni, magari mal declinati, e quelli cattivi come le “sane leggi del capitalismo” che, complice lo stesso Trump, li hanno impoveriti. Chissà se si accorgeranno di essere anche stati manipolati e traditi.

Si temeva una seconda guerra civile: non ci sarà. La nazione è divisa ma non su linee sezionali, di classe o omogenee. Gli eventuali focolai saranno repressi. In compenso,aumenterà la sfiducia verso un sistema politico bloccato su due partiti che hanno fatto il loro tempo ma per ora non ci sono alternative. L’America ha i suoi anticorpi (Dio e Patria) che, piaccia o no, funzioneranno fin quando non si evidenzierà un ulteriore decadimento economico o qualche trasformazione epocale o il quadro geopolitico mondiale non muterà indebolendola. Poi si vedrà. (F.S. 8.1.2021)

Elezioni Usa. Come Trump può perdere il voto popolare ma vincere le elezioni

Tre ipotesi neanche tanto estreme per ribaltare la sconfitta e per stravolgere democrazia e Costituzione con un colpo di stato “legale”.

di Fabrizio Salmoni

Molti osservatori sono propensi a pensare che il momento più critico di queste elezioni americane non si verificherà la sera del 3 Novembre ma bensi nel periodo di transizione che si sviluppa usualmente fino al 21Gennaio con la cerimonia ufficiale di proclamazione.

Cosa giustifica tale previsione? Alla base di tutto sta l’ambiguità dell’attuale Presidente nel non confermare di voler accettare l’eventuale sconfitta, con tutte le implicazioni di ordine pubblico che tale eventualità potrebbe comportare.  Sono mesi inoltre che Trump afferma pubblicamente che le elezioni saranno “rubate” dai Democratici grazie prevalentemente al voto per posta che egli ha fatto di tutto per limitare o addirittura annullare, aiutato in questo dalla recente decisione della Corte Suprema di concedere solo tre giorni alla conta oltre il 3 Novembre. Ma una volta annusata la sconfitta con le proiezioni su Florida, Ohio e Pennsylvania, Trump avrebbe diverse opzioni per cercare di ribaltare i risultati.

La prima è affidarsi al sistema giudiziario che i Repubblicani da mesi hanno manipolato: Trump dichiara che le elezioni sono strate fraudolente e truccate e si appella alle commissioni elettorali. Quelle degli Stati governati dai Repubblicani si danno da fare e cominciano a invalidare un numero di voti ampio solo a sufficienza per erodere il vantaggio di Biden: l’1% qui, il 2% là, il 2,5% altrove. La vittoria di Biden comincia ad apparire dubbia e il problema passa alla Corte Suprema dove Trump si è appena assicurato la maggioranza con la nomina della superconservatrice e fondamentalista religiosa Amy Comey Barrett. La Corte a questo punto può appellarsi ai collegi Repubblicani o decidere in proprio. In entrambi i casi, le risoluzioni sarebbero favorevoli a Trump. E il gioco è fatto.

La seconda prevede l’evenienza che la sera del 3 novembre i margini di vittoria di Biden siano esigui o molto stretti per entrambi i candidati per la lentezza dello spoglio dei voti postali. A quel punto, le commissioni elettorali non chiedono il riconteggio ma contestano i voti singoli sulla base di strette tecnicalità. Per esempio, un ritardo di pochi secondi nella comunicazione dai seggi, certificazioni in ritardo, firme che non corrispondono…si solleciterebbero le commissioni elettorali a privilegiare il principio della totale integrità del voto in un’atmosfera in cui le pressioni di Trump si fanno sempre più pesanti cosi come le minacce di rappresaglia da parte delle milizie, e di nuovo la decisione passerebbe nelle mani del sistema giudiziario. Come sopra.

La terza è intricata, insolita ma non impossibile. Trump perde il voto elettorale e il sistema giudiziario si impunta sulla propria indipendenza. Tutto sembra perduto ma il Partito Repubblicano ha un asso nella manica. Non tutti sanno che l’appartenenza dei Grandi Elettori attribuiti dagli Stati non è vincolante e che hanno tempo fino a sei settimane per esprimersi. In quel periodo di tempo, le pressioni del Partito Repubblicano possono farsi pesanti: “Non avete capito che il voto è stato falsato, che il voto postale è fraudolento? Potreste essere puniti per aver convalidato …potreste essere ricompensati con la carriera politica, con favori, incarichi amministrativi, per aver annullato...”. Quanti Grandi Elettori che cambiano parte sarebbero necessari? Non molti: la Pensylvania ne ha 20, la North Carolina 15, il Minnesota 10.Sui 538 complessivi, una quindicina di loro potrebbero bastare a rovesciare i risultati. Improbabile? Abbastanza, ma non ci sono leggi che proibiscano di cambiare un voto che la consuetudine dà per scontato. E gli scrupoli di un Trump per imboccare anche quella strada pur di non perdere non sono ipotizzabili, vista la persona.

E visti i rischi personali per la sconfitta. Su di lui pendono gravi rischi di incriminazione per frode fiscale e altre malversazioni finanziarie. Se non fosse rieletto rischierebbe l’arresto. Per questo, gli osservatori ipotizzano l’ultima mossa, estrema, quella del cavallo: le dimissioni nel periodo di transizione con la Presidenza, che verrebbe assunta dal vicepresidente in carica Pence il quale si farebbe premura di concedere velocemente la grazia. Con cui Trump se ne andrebbe libero come un fringuello verso nuove avventure.

A rendere possibili tutte queste ipotesi che gli analisti, nella situazione presente, non si sentono di escludere, concorrerebbe certamente l’atmosfera di tensione sociale, forse di scontri armati locali, di repressione che il Paese vivrebbe per settimane. Una tempesta perfetta per favorire le peggiori manovre, anche con l’immancabile pretesto dell’ emergenza che solo una vittoria schiacciante di Biden potrebbe evitare.

Quali riflessioni, tutti questi meccanismi, trappole e trucchi (legali) per alterare un’elezione suggeriscono? Quella più scontata che i potenti se la cavano sempre. E purtroppo quella più amara: che anche la più perfetta democrazia può cadere sotto i colpi, delle proprie crepe, della manipolazione più estrema di tutte le regole, se c’è la volontà di farlo, se ha in essa i germi, le condizioni per ammalarsi.

Cosa potrebbe fare un Trump nel secondo mandato? Potrebbe cambiare la Costituzione, eliminare il limite del secondo mandato, limitare le libertà di stampa, fare gli interessi propri e della sua famiglia, inaugurare una democrazia autoritaria con un potenziale militare senza eguali e prospettive imprevedibili. Ma a quale prezzo per gli americani e per il mondo intero?

Ancora pochi giorni e avremo le prime risposte. (F.S. 2.11.2020)

USA. Sull’orlo di una guerra civile?

Una polarizzazione politica senza precedenti, un Presidente che non vorrebbe concedere l’eventuale sconfitta, milizie contrapposte, un sistema legale che potrebbe non reggere le controversie sulla validità delle elezioni. Uno scenario imprevedibile.

di Fabrizio Salmoni

E’ la domanda che alcuni osservatori hanno cominciato a farsi analizzando i segnali che provengono dal corpo sociale e dai comportamenti di Trump. E’ indubbia l’estrema polarizzazione politica che sta dividendo la Nazione, già viva e ribollente sotto la superficie da prima delle elezioni del 2016, ma che si è acutizzata negli ultimi quattro anni per l’azione di un Presidente dimostratosi capace di suscitare sentimenti estremi, più abile a dividere che a unire il Paese, più preoccupato di confermarsi al Potere e di assicurarsi l’appoggio del grande capitale che di migliorare welfare e potere d’acquisto dei cittadini più poveri a costo anche di ridurre quelli della classe media. Abbiamo visto del cinismo incosciente nel suo evocare, distorcendoli, i valori positivi dell’individualismo in chiave antisociale, e volgerli contro i suoi stessi elettori, contro le minoranze affamate di riconoscimento e diritti civili, contro la cultura inclusiva, insomma contro l’anima “progressista” della nazione (https://mavericknews.wordpress.com/2016/10/04/non-ce-crisi-in-paradiso-paradossi-e-identita-di-classe-nellamerica-di-obama-e-di-trump/#more-1214). Col risultato di fare riemergere alla superficie radicalità contrapposte (le razze), sensibilità reali (casta e establishment) mal direzionate, mistificate (addirittura il socialismo, se non il comunismo!), per un’America ignorante, incattivita dalla crisi e dalla pandemia, pronta a richiudersi in se stessa, a cercare i propri nemici dentro e fuori, in un’identità anacronistica da razza padrona che si sente da più parti minacciata.

La campagna presidenziale ha ulteriormente abbassato il livello del confronto politico e aumentato la polarizzazione. Dagli scontri sui temi razziali sono emerse le milizie armate su entrambi i fronti, solo nelle ultime settimane sono aumentate le vendite di armi (5 milioni di americani in più ne hanno comprate); dalla critica alla casta “progressista” e radical chic è apparso il complottismo virtuale di QAnon che attribuisce a Trump il compito messianico di liberare l’America dal Deep State (che è sempre esistito ma il cui potere occulto viene attribuito ai Democratici). Un calderone di tensioni vere o fittizie che il Presidente non tenta neanche di sopire avendo scelto la strada dello scontro sociale piuttosto che lo scorno di perdere. Anzi, le attizza, con le manovre per delegittimare il voto postale, con la nomina dell’ultraconservatrice Barrett alla Corte Suprema che ne spariglia gli equilibri, con il ricatto appena esplicito di non riconoscere la sua eventuale sconfitta elettorale, con la politica dell’appoggio alla polizia e gli appelli a Legge e Ordine, con gli appelli alle milizie di “stare indietro ma stare pronti“. Dal fronte opposto si risponde senza mezzi termini come in un articolo intitolato “Prepararsi al contraccolpo qualsiasi cosa  accada a Trump a Novembre” sul magazine online di sinistra Medium Daily Digest del 6 Ottobre : ” La rabbia bianca a questo punto? Massiccia. Ci stiamo già preparando da tempo a quella se Trump vince a Novembre ma la violenza se lui non ce la facesse sicuramente la eclisserebbe…Nei quattro anni passati ci siamo dedicati a prepararci e a reagire al peggio di questo Paese e al modo in cui minaccia le nostre vite. Non ci fermeremo comunque vada per Trump a Novembre o dopo“. Tutto questo porta gli osservatori a chiedersi se non si sia veramente sull’orlo di una guerra civile o di qualcosa che vi somigli.

Liberate il Michigan!” aveva twittato in primavera Trump e i Wolverine Watchmen a decine, armati, avevano assediato il Campidoglio di Stato contro le restrizioni Covid.

Ed è di questi giorni l’arresto di otto componenti dei Wolverine per aver complottato il rapimento della Governatrice Dem del Michigan, l’esplosione della sua casa, e l’occupazione del Parlamento locale per provocare una guerra civile. Un’azione con un preoccupante precedente storico: il velleitario raid del 1859 del fanatico religioso abolizionista John Brown all’arsenale militare di Harper’s Ferry per scatenare la ribellione degli schiavi nel Sud in un’America già divisa sui problemi costituzionali che da li a due anni avrebbero portato alla guerra civile. Brown fu arrestato e impiccato insieme a diversi della sua banda per cospirazione e insurrezione armata ma divenne un simbolo per la guerra del Nord unionista.

Un mio amico neotrumpista mi aveva predetto, fin dagli ultimi anni dell’amministrazione Obama, che presto ci sarebbe stata una guerra civile e aveva cominciato a raccogliere armi. La sua casa era diventata un arsenale. Oggi mi manda messaggi criptati che non riesco a leggere perchè scompaiono dopo un’ora: me li manda senza considerare il fuso orario. E’ chiaramente “mobilitato”.

Dall’altra parte, le grandi mobilitazioni interrazziali seguite alla morte di George Floyd e le dure reazioni poliziesche che le hanno affrontate, hanno aperto la strada a organizzazioni di autodifesa delle comunità nere come la Not Fucking Around Coalition o di gruppi militanti della sinistra che hanno gestito gli scontri urbani più duri.

Del resto, un recente sondaggio del Georgetown Institute of Politics and Public Service ha rivelato che gli elettori sono convinti che si sia a tre quarti di strada verso una guerra civile e più di un terzo pensano che ci si arrivi entro cinque anni. Qual’è il fattore allarmante per questi elettori? Il fatto che nessuna delle due parti politiche sembri disposta a riconoscere il successo elettorale dell’altra.

Quanto tale evenienza è probabile in un Paese che comunque offre ancora livelli di benessere superiori a quelli di altri?

In realtà, la situazione economica non è più cosi rosea perchè dall’esplosione della pandemia milioni di posti di lavoro sono stati perduti e non si vedono i tempi di ricupero; milioni di americani hanno visto calpestato il proprio orgoglio individuale dalla nuova dipendenza da sussidi governativi per la prima volta nella loro vita facendoli sentire equiparati ai tanto disprezzati “fannulloni neri che vivono di welfare“, e più di 200.000 ad oggi sono i morti di Coronavirus. Una situazione che non ha toccato i livelli di disperazione della Grande Depressione ma che non garantisce nè che i vaccini possano arrivare a breve nè che arrivino stimoli economici fino a dopo le elezioni. Per molti americani di ogni razza, credo o colore, e più ancora per quella middle class che ha sempre goduto di un discreto benessere, le prospettive sono pessime perchè percepiscono che la loro fetta di “torta Americana” si è ristretta di molto. Sebbene le rivendicazioni del Black Lives Matter riguardino uguaglianza e giustizia sociale è difficile non vedere sottotraccia evidenti istanze di classe e una forte richiesta di riforme sociali che non tocchino quei miti culturali e identitari tanto condivisi finora collettivamente ma oggi fatti propri dalle destre patriottiche e religiose e agitati dai politici repubblicani. Anche cosi si spiega l’anatema antisocialista/comunista dei conservatori su provvedimenti sociali (come il Medicare) che somigliano più a quelli dell’Europa liberale che della Russia sovietica: marchi di infamia e di terrore epocali agitati a sproposito dalla cattiva politica ma introitati acriticamente nel subconscio americano dal XX° secolo.

Si aggiunga alla ricetta la stanchezza del sistema bloccato sui due partiti, percepito come ostacolo al rinnovamento, macchine avulse dalla realtà nelle mani delle lobby, dei miliardari, delle corporation, degli apparati occulti (il Deep State) e mediatici, delle mafie;  si aggiunga la sfiducia per il sistema elettorale, vittima di manipolazioni, ostaggio del meccanismo voto popolare/voto elettorale, quello che ha già strappato la vittoria ai Dem per tre volte in sei tornate elettorali; si aggiunga infine un ulteriore fastidio per le manovre della cricca presidenziale tendenti a invalidare il voto postale, questa volta particolarmente numeroso per le restrizioni Covid alla mobilità e tradizionalmente Democratico perchè collegato alla maggiore affluenza (si prevedono 80 milioni di voti postali, più del doppio del 2016) e e diventa cosi più chiara la crisi ampia di sistema.

Senza i voti postali o con l’invalidazione di molti di essi, Trump potrebbe vincere grazie al voto elettorale, quello caldeggiato per suprema ironia da Alexander Hamilton per evitare “l’intrigo e le basse arti della popolarità“, che fraziona i risultati dei singoli Stati e assegna “i punti” elettorali.

Ma cosa potrebbe allora succedere? Forse non una guerra civile ma probabili scontri armati isolati che rafforzerebbero la repressione e un governo sempre più autoritario frutto di un disegno eversivo. Come vincitore Trump avrebbe potere legale di utilizzare la forza per sedare eventuali ribellioni.

Più difficile pensare a cosa potrebbe succedere se Trump perdesse ma non volesse “concedere” all’avversario. Non è facile pensare che un personaggio cosi ossessionato dalla necessità di vincere possa farlo. Perdere per lui non è un’opzione ma sulla possibilità potrebbe aver lavorato da mesi. Potrebbe denunciare i brogli del voto postale e convocare a Washington la sua gente per dichiarare le elezioni non valide perchè “truccate” dai Democratici. Già lo ha twittato: “…Sarebbe la fine del nostro grande Partito Repubblicano. Non possiamo lasciare che questa tragedia si abbatta sulla nazione“. La sua gente accetterebbe qualsiasi cosa lui dica. Migliaia di persone armate potrebbero creare una situazione di insorgenza molto grave.

Un sondaggio di Fox News durante la discussione sull’impeachment, indicò una percentuale del 41% di votanti registrati contrari all’impeachment. Di quelli, il 57% dissero che niente li avrebbe costretti ad accettare l’impeachment. NIENTE. Si può calcolare dunque che quel 57% corrispondente al 23% di tutti gli elettori (circa 32 milioni) siano decisi sostenitori di Trump, quasi tutti possessori di almeno un’arma.

Cosa farebbero se fossero chiamati a opporsi all’ “estrema sinistra, ai marxisti, agli anarchici, ai violenti, ai saccheggiatori” che vogliono togliere loro le armi, aprire i confini, far diventare l’America un Paese socialista, istituzionalizzare il razzismo contro i bianchi e metterli in condizione minoritaria?

Si consideri anche che qualsiasi sia l’esito delle elezioni, Trump rimarrebbe in carica e Comandante-in-Capo per la transizione fino all’inaugurazione il 20 Gennaio 2021 e tanto potrebbe accadere in quello spazio di tempo. Per esempio che il vicepresidente Pence in qualità di Presidente della Sezione Elettorale del Congresso si rifiuti di dichiarare Biden Presidente per presunti brogli.

In caso di disaccordo la legge prevede procedure per stabilire un verdetto sicuro ma in una situazione di estrema confusione, tensione, dichiarazioni di illegittimità di qualche Corte statale, potrebbe essere difficile arrivarci. La Corte Suprema ancora priva della neonominata Barrett potrebbe ritrovarsi a pari voti incapace di deliberare mentre nel caso opposto di conferma della Barrett i Democratici metterebbero in discussione la decisione favorevole a Trump. Insomma, gran pasticcio costituzionale, più complicato ancora che la questione dei diritti degli Stati che portò alle secessioni multiple nel 1861.

Allora l’esercito della Repubblica si spezzò in due e i singoli ufficiali scelsero la loro parte in base alla fedeltà alla Costituzione o al proprio Stato.

Cosa farebbe oggi l’esercito? Se le forze di polizia si schiererebbero probabilmente con Trump per il sostegno ricevuto durante i disordini razziali, la posizione delle gerarchie militari, denigrate e insultate ripetutamente da Trump (v. Bob Woodward, Paura, ed. Solferino e anche P. Rucker, Carol Leonnig, Una presidenza come nesuun’altra, Mondadori) potrebbe essere diversa e risolvere la crisi con il proprio peso restaurando gli equilibri costituzionali. O sostenere un colpo di stato con conseguenze imprevedibili o anche dividersi e aprire veramente una guerra civile che cambierebbe la storia del mondo.

Fantapolitica? Presto sapremo. (F.S. 11.10.2020)

Referendum Si o No

 

La confusione regna sovrana. Non bastava il Covid, l’allargamento del cantiere Tav, il tormentone sulla scuola, i nuovi (!) misteri di Caronia, l’imperversare di Salvini. Ci mancava ancora un referendum con il solito dispiegamento di specialisti, opinionisti e opposti schieramenti per avvelenarci la quotidianità e minare i nostri precari equilibri.

Non mi appassiona il dibattito su questo tema con tutto quello che succede nel mondo e quello che si prepara per il futuro ma, viste le pressioni che arrivano da tutte le parti, mi sforzo di condividere le mie riflessioni, ad oggi.. Con due premesse:

 

  1. di escludere un condizionamento da appartenenza partitica: attualmente nessuno rappresenta le mie opinioni su giustizia sociale, bisogni collettivi, modello di sviluppo e ambiente e ,anzi, sono mediamente disgustato quanto un qualsiasi medio cittadino da ciò che mi capita intorno.
  2. nell’affrontare la materia faccio mio il punto di vista degli interessi dei cittadini attivi e partecipanti che non hanno rappresentanza nelle istituzioni: i movimenti per i beni pubblici, contro le grandi opere, ecc.

Sgombrato preventivamente il campo da obiezioni “di parte”, vengo al sodo. Leggi il resto dell’articolo

New York Times e Huffington Post ancora sul fenomeno Ufo: ” Non fatti su questa Terra”. Scientific American: ” Dobbiamo studiarli. Basta con i tabù”.

           

Nuove autorevoli testimonianze sulla natura “non terrestre” del fenomeno e un articolo su Scientific American esortano l’ambiente scientifico a mettere da parte i tabù e a dedicare studi interdisciplinari al fenomeno. Sui media italiani ancora niente.

Continua con una certa frequenza negli Usa, e neanche sottotraccia, lo stillicidio di notizie e fatti nuovi riguardanti il fenomeno Ufo (o Uap, come si preferisce oggi chiamarli). Dopo la richiesta formale avanzata dalla Commissione Intelligence del Senato alla comunità dell’Intelligence di fornire tutti i dettagli sulla materia, di cui abbiamo parlato in un nostro recente articolo (https://mavericknews.wordpress.com/2020/07/01/disclosure-il-senato-usa-richiede-alla-comunita-dellintelligence-un-rapporto-sulle-attivita-ufo/), sono stati fatti due nuovo passi importanti verso il riconoscimento pubblico del fenomeno.

Il primo è di natura mediatica: il 23 Luglio scorso il New York Times ha pubblicato un articolo sui briefings segreti tra rappresentanti del Congresso e del Pentagono e l’astrofisico Eric Davis che dal 1996 si occupa di Ufo e fenomeni scientifici straordinari (     https://www.nytimes.com/2020/07/23/us/politics/pentagon-ufo-harry-reid-navy.html) come consulente e subappaltatore del Pentatgono, ora alla Aerospace Corporation. Gli autori dell’articolo, Ralph Blumenthal e Leslie Kean, quest’ultima valida giornalista investigativa e autrice del libro-inchiesta “Ufos. Generals, pilots and government officials go on the record” (Harmony Books, New York 2010), hanno fornito solo alcuni dettagli di quanto è stato detto in quegli incontri il cui fulcro sono state le clamorose affermazioni che gli Ufo sono velivoli da fuori del nostro mondo, non fatti su questa Terra”. Leggi il resto dell’articolo

Poliziotti deviati: una piaga sempre tollerata

Una lunga lista mai interrotta quella delle violenze sul cittadino. E’ in atto una progressiva, silenziosa fascistizzazione degli apparati del controllo sociale. Urge un’epurazione non una ri-organizzazione. Via i fondi ai Corpi di Polizia pericolosi per il cittadino.

 

Negli anni Settanta alle carceri Nuove di Torino vigeva il sistema della “Balilla”. Si trattava di una rete metallica senza materasso a cui “la squadretta” di guardie carcerarie legava il detenuto da punire che veniva picchiato con o senza manganelli oppure bagnato con una secchiata di acqua fredda e lasciato a gelare a tempo indeterminato. Non erano casuali o senza motivazioni quindi le esecuzioni o le gambizzazioni di alcune guardie dell’epoca: non c’era bisogno di essere delle Br, il carcere non è ambiente da signorine e porta rancore.

Anche in altri ambienti di polizia le cose non erano diverse: sovente i fermati erano sottoposti a violenze collettive o a veri e propri linciaggi. Un esempio dei peggiori la cui memoria non dovrebbe scomparire è quello che riguarda l’anarchico Serantini che mori per le botte infertegli da agenti del Reparto Mobile di Roma e per mancato soccorso in carcere. A lui Corrado Stajano dedicò il libro-inchiesta “Il sovversivo“. Da allora, solo a memoria, poco è cambiato, anzi: è sempre bene ricordare la “defenestrazione” dell’anarchico Pinelli dall’ufficio di Luigi Calabresi e le torture in caserma al brigatista Di Lenardo per farlo “parlare”; Sante Notarnicola bene descrive nei suoi libri le sevizie subite da lui e da altri detenuti “per punizione” nel corso degli anni e del suo percorso carcerario. Poi si arriva alla Diaz e a Bolzaneto, ai “suicidi” in carcere dei due giovani anarchici Sole e Baleno, ai casi Cucchi, Uva e Aldrovandi, al quasi-linciaggio dei dimostranti Soru e Nadalini fermati durante gli scontri del 3 luglio 2011 in Val Susa, ai 17 morti per sospetta “overdose” (ci crediamo?) durante le rivolte pre-covid di quest’anno in diversi istituti di pena. Per arrivare ai casi di questi giorni che vedono accavallarsi addirittura le due vicende di macroscopica devianza collettiva al carcere di Torino e alla caserma di CC di Piacenza. Leggi il resto dell’articolo

Disclosure. Il Senato Usa richiede alla comunità dell’Intelligence un rapporto sulle attività Ufo

Un’iniziativa senza precedenti della politica “ufficiale” apre la strada a nuove rivelazioni. Un passo significativo del Senato verso una faticosa, epocale Verità. Il silenzio dei nostri media.

di Fabrizio Salmoni

Continua lento ma apparentemente inesorabile il processo di “soft disclosure” sulla questione Ufo iniziato meno di tre anni fa dal New York Times e da altri media autorevoli con la diffusione dei video dei piloti della Marina del gruppo navale Nimitz (https://mavericknews.wordpress.com/2018/02/11/ufo-le-conferme-del-pentagono-sul-new-york-times/ ). Una cronologia che da allora si è fatta sempre più fitta di eventi fino alla costituzione della U.S. Space Force e alla stipula dei contratto di collaborazione tra Esercito e i privati della To The Stars Academy (TTSA) per la ricerca sui materiali presumibilmente recuperati negli anni da Ufo precipitati o abbattuti (1)

Riferivamo che già nel giugno 2019 la Commissione Intelligence del Senato presieduta da Marco Rubio (R-Florida) con vice Mark Warner (D-Virginia) aveva richiesto formalmente informative in materia di Unidentified Aerial Phenomena (UAP – definizione aggiornata per UFO) alle varie agenzie competenti (https://www.politico.com/story/2019/06/19/warner-classified-briefing-ufos-1544273?fbclid=IwAR0qyZ_mToCfDSSUEd0w6d-rQkyNNeGBrLbHnIxw86AsaNKUekG-GqzM3cI). Proprio in questi giorni, il 17 giugno, la stessa Commissione pubblica la sua proposta al Congresso e al Presidente della legge Intelligence Authorization Act per l’anno 2021 (.https://www.govtrack.us/congress/bills/116/s3905/text). Una proposta che andrà votata dal Congresso e firmata infine dal Presidente.

A pag. 11 compare il paragrafo dedicato alle Advanced Aerial Threats (Minacce Aeree Avanzate) in cui si affida al Direttore della National Intelligence (DNI) la redazione di un rapporto che raccolga informazioni fornite da tutte le agenzie di Intelligence, da sottoporre alla Commissione entro 180 giorni dalla firma della legge specificando, clamorosamente, che non dovrà essere secretato ma “potrà comprendere allegati secretati“. Leggi il resto dell’articolo

Ustica 2020. Dopo 40 anni la solita manfrina

Disinformazione, polverone mediatico, ipocrisie istituzionali che coprono il vuoto di volontà,una verità che non si può dire.

Sembra incredibile ma ci dobbiamo ancora sorbire la vuota retorica di un Mattarella che esorta (chi?), auspica, sollecita (chi?) a “fare luce”. A ruota, analoghe pappardelle giornalistiche che ripetono ad libitum la solfa missile-o-bomba, francesi-americani-Gheddafi. Sembra di sentire il caporedattore: “Ragazzi, domani è il 27 giugno, chi mi scrive il pezzo su Ustica? Ci tocca…Vai con ‘l’azione di guerra’, con ‘il muro di gomma’, ‘i palestinesi, Cossiga e Giovanardi’. Non più di trenta righe con la foto del cadavere galleggiante, e via! Buon weekend!'”.

Una nuvola di informazioni confuse, contrastanti che non portano da nessuna parte . Il solito polverone, da nascondere sotto il tappeto con il niente da offrire.

Un unica riflessione degna di nota, quella di Gianni Rossi su Articolo 21: “Tutti i protagonisti che girarono attorno alla tragedia di Ustica, a livello istituzionale, politici e militari, sono morti. 40 anni dopo quella Strage, nessuno di quei testimoni, esecutori o artefici dei depistaggi potrebbe ancora sentirsi diffamato o incolpato. Lo stesso panorama geopolitico si è talmente modificato da non poter danneggiare questa o quella potenza, mettere crisi alleanze storiche, stabilire processi internazionali per reati bellici contro l’umanità. E allora, perché l’ennesimo Governo italiano, nonostante le promesse, e gli esecutivi nostri alleati, in primis francesi e statunitensi, mantengono questo riserbo assurdo? Perché non scoperchiare le pentole della vergogna?Leggi il resto dell’articolo

Si Cobas. La polizia trasforma una vertenza sindacale in una notte di violenza antioperaia.

Nel silenzio dei media, dei sindacati, della “sinistra” istituzionale, un fascismo strisciante si sta insinuando negli apparati repressivi e nella fasce più basse della popolazione.

C’è da indignarsi. Quanto accaduto due notti fa alla sede Tnt-Fedex di Peschiera Borromeo (Mi) sfida la sensibilità di tutti e soprattutto di quelli che si indignano per le violenze poliziesche negli Usa e chiudono gli occhi su quelle nostrane. Anche per i media, è una vecchia storia: i cattivi poliziotti o aguzzini sono sempre altrove. Abbiamo fatto una rapida scorsa in rete: quasi niente (poche righe) su media locali, qualche riga sul FQ.

Eppure i fatti sono sconvolgenti e riportano l’immagine dell’Italia all’era delle prime lotte sindacali quando si lavorava fino a 15 ore in fabbrica per paghe da fame, senza contratto, senza previdenze sociali e se si faceva sciopero arrivava la Guardia Regia e sparava sui dimostranti.

Ecco, i lavoratori della logistica, prevalentemente stranieri immigrati, stanno più o meno nella stessa situazione nel futuristico 2020 dell’Italia “democratica”: niente contratti stabili, accordi violati, licenziamenti politici, paghe miserabili e violenza rabbiosa su scioperanti inermi e pacifici. Leggi il resto dell’articolo