Amici che se ne vanno: Alberto Signetto e Pete Seeger

L’unico modo che ho per celebrarli è condividerne il ricordo con chi vorrà leggere

 Alberto Signetto: non solo film maker

ASignettoQuando se ne va un amico è una botta dura. Se poi è coetaneo e se ne va soffrendo è peggio ancora. I giornali torinesi hanno dato la notizia e, nel darla hanno giustamente elencato i meriti professionali e umani di Alberto. Si, era bravo nel suo mestiere ma per qualche ragione non era mai riuscito ad adattarsi alla questua con i politici per fare carriera con i soldi pubblici. Era un vero indipendente e come tale destinato all’emarginazione mentre altri, più “pieghevoli”, e non tutti altrettanto meritevoli, facevano strada nella Torino cinematografica. Questa sua diversità i giornali non l’hanno sottolineata.

Alberto era anche tante altre cose: era generoso, entusiasta, eccessivo nel senso buono: amava mangiare, bere, far festa. Quando volli improvvisare un farewell party perchè partivo per gli Usa per starci un po’ di tempo, tutti i partecipanti quella sera portarono qualcosa da bere o mangiare. Lui si presentò con un pianale di lattine di birra e a chi gli disse “Accidenti, questa basta per tutti!” rispose col sogghigno: “No, queste sono per me!”.

Amava fare il minaccioso ma per scherzo, ammiccando, perchè era grande e grosso e come tutti i grandi e grossi (buoni) usava la sua forza solo quando era necessario, e per buone ragioni. Nel nostro comune passato politico si infiammava solo in presenza di fascisti. Sono storiche le ronde che organizzava a Mazzè, il suo paese, quando c’era sentore di scorrerie nere da Ivrea e credo che i malcapitati se ne ricordino ancora. Per noi di Palazzo Nuovo era il vertice del cuneo quando si trattava di andare in piazza, era il nostro Obelix, il nostro Bud Spencer.

Già allora sapeva tutto di cinema e le citazioni si sprecavano. Cosi, una notte gelida e nebbiosa d’inverno quando fummo mandati di sostegno ai picchetti operai di Rivalta lungo un sentiero in mezzo ai campi che portava a un’ingresso secondario della fabbrica, lui si inventò un modo per respingere i crumiri senza dover ricorrere alle maniere estreme: “Facciamo La notte dei morti viventi!” propose. E allora ci nascondevamo nel fosso quando sentivamo passi incerti calcare la ghiaia in avvicinamento e al momento giusto uscivamo fuori improvvisamente barcollando come zombies nella fitta nebbia e emettendo suoni soffocati. Aveste visto che fughe!

Per tanti anni ci siamo persi di vista ma ci siamo rivisti pochi mesi fa e ho ritrovato un Alberto No Tav. Per conto del Tg Vallesusa gli avevo chiesto di darci una dritta tecnica per mettere in cantiere un film-documentario sul processo ai 54 No Tav. Era già malato e stava facendo la chemio ma si diede subito disponibile per una riunione che, risolte le cose serie, si trasformò come prevedibile in una serata di fiesta, a suo modo: cena, bevuta, risate e rivisitazione semi-colta di motti piemontesi. Sono contento di averlo chiamato perchè lo ricorderò cosi.

Pete Seeger: non solo folk singer

PeteSeeger Lo conobbi nel giugno 1978 in occasione del Festival di musica popolare “Victor Jara” organizzato dall’Arci. Ero il suo accompagnatore, visto che parlavo inglese; dovevo seguirlo, assecondarne le necessità, fargli visitare Torino. Con lui c’era la moglie Toshi, americana di origine giapponese, una dura, molto ideologizzata. Lui era dolcissimo, affabile, aveva una voce calda e raccontava tante cose, storie di viaggi, di incontri. Io gli chiedevo di Woody Guthrie di cui avevo appena letto la bella biografia di Alessandro Portelli e lui me ne parlava senza indulgere nei particolari privati ma piuttosto dando rilievo al pensiero. Mi faceva sentire il fascino di quell’ambiente di folksingers cosi mitizzato in Italia per la qualità dell’impegno artistico, per l’utilizzo delle canzoni di tradizione popolare trasformate in messaggio politico che lo stesso Guthrie aveva assimilato dai sindacalisti-rivoluzionari Wobblies degli anni Venti. Come allora e come per Woody, per Pete la musica era soprattutto un mezzo per comunicare di cui tutti dovevano fare uso, senza paura di essere stonati o di sbagliare; faceva proprie le parole di Woody: “…Sono qui per cantare canzoni che ti diano orgoglio per te stesso e per il tuo lavoro e quelle che canto sono fatte per lo più da ogni genere di persone proprio come te…” La naturale conseguenza per Pete Seeger di questo principio era il continuo sollecitare dal palco il pubblico a cantare insieme. Era il momento in cui il fascino della sua personalità prendeva il sopravvento sull’assetto puramente strumentale che abitualmente consisteva al massimo di un altro accompagnatore alla chitarra, una voce addizionale, talvolta un qualche strumento etnico. Funzionava! Cantavano tutti e lo show diventava collettivo mentre lui anticipava le frasi secondo la tecnica dei gospel.

In quegli anni stava maturando in anticipo su molti il passaggio da una fase di impegno prettamente politico all’ ambientalismo collegandole entrambe ad una solida continuità di critica al capitalismo. Mi raccontava del Clearwater, un brigantino a vela e remi costruito sul modello degli antichi sloop che solcavano il fiume Hudson fin dal Settecento, gestito da una cooperativa di persone, tra cui lui stesso e Arlo Guthrie, figlio di Woody. La Hudson River Sloop Clearwater Inc. si dava come scopo la protezione ed il mantenimento dell’ambiente naturale della Valle dell’ Hudson anche tramite l’iniziativa e la pressione sugli enti istituzionali. Il Clearwater solcava regolarmente le acque del grande fiume con un carico di attivisti e artisti che in ogni attracco tenevano spettacoli e corsi di artigianato e di ecologia militante. Era affascinante e quando mi invitò a fargli visita non me lo feci ripetere due volte: due mesi dopo sbarcavo a Beacon, un paesino rurale sulle rive dell’Hudson, nello Stato di New York, e raggiungevo in auto la proprietà della famiglia Seeger, un piccolo agglomerato di case di tronchi in posizione mozzafiato su un promontorio che dava direttamente su un’ansa del fiume. Avevano acquistato il terreno e costruito le case qualche tempo prima che l’area fosse dichiata parco statale e questo faceva si che fossero gli unici abitanti del posto, uno splendido isolamento. Mi sistemarono nella casetta degli ospiti e cosi per qualche giorno partecipai alla vita quotidiana della famiglia allargata a nipotini biondissimi e ospiti che arrivavano in continuazione. Alla sera si cenava semplicemente all’aperto e si cantava e suonava. Si discuteva di musica, di politica e dei problemi del Clearwater che in quei giorni era in attività altrove lungo il fiume. Scopersi che mi trovavo in disaccordo sul tema country music: Pete e soprattutto la rigidissima Toshi ne davano un giudizio durissimo per la natura commerciale e per i contenuti che definivano “consolatori”, non “di lotta” ma naturalmente tale giudizio non ne impediva l’esplorazione artistica sul piano individuale, come la partecipazione al Johnny Cash Show (che in realtà portò guai e polemiche proprio a Cash che lo aveva invitato) o come ultimamente con Willie Nelson. Speravo sempre che arrivasse Arlo Guthrie che conoscevo per la partecipazione a Woodstock e per il film antimilitarista Alice’s restaurant ma rimasi deluso. Al mattino, Pete mi svegliava con il suo yodel, la sveglia più soft e originale che abbia mai avuto: metteva subito di buon umore. Me ne andai dopo pochi giorni per timore di imporre troppo a lungo la mia presenza. Lo rividi un mese dopo a un free concert a San Francisco, poi mai più. Mi sono sempre augurato che le nostre piste si incrociassero ancora ma le mie strade americane mi avrebbero portato da tutt’altra parte. Il mondo ora è peggiore senza di lui. (F.S. 1.2.2014)

Informazioni mavericknews
Organizzatore di eventi, laurea e master all'Università del Texas in Studi Americani, giornalista pubblicista dal 2009. Direttore della rivista American West, si dedica poi alle tematiche ambientali e alla cronaca delle lotte sociali. I suoi articoli sono stati pubblicati su Tg Maddalena, Tg Vallesusa, Valsusa Notizie, Prendocasa, Carmilla Online, Contropiano. Ha co-prodotto l'inchiesta filmata La Baita- Presidio No Tav in Val Clarea. Per Lu:Ce edizioni, ha pubblicato Resa dei Conti alla Maddalena. 2010-2011. Diario di due anni di lotta contro l'Alta Velocità in Valle di Susa.

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